Non abbiamo mai tralasciato l’importanza dei luoghi. Proprio da quelli siamo partiti, come fosse un viaggio. Come se strade, viuzze, piazzole, lastricati avessero ancora qualcosa da raccontarci.
Basta repliche, ora si va avanti. Abbiamo ricondiviso con voi lettori due anni di lavoro che ci hanno portato in giro a cercare, vedere, scoprire. La vostra voglia di saperne di più ci ha portato a riparlare del Mostro di Firenze e ora è arrivato il momento di un passo in avanti perché non si arriva alla verità – se mai a quella verità si arrivasse mai – rimanendo fermi. E allora abbiamo deciso di raccontare anche quello che è stato il nostro percorso, le nostre scelte.
E’ impossibile affrontare la storia atroce del Mostro di Firenze senza vedere con i propri occhi i luoghi delle stragi, le carceri, gli studi legali, i bar, le osterie, le abitazioni dei protagonisti entrati nella vicenda. Ogni paesaggio, ogni punto di vista richiamano suoni e voci, quelli della natura, quelle delle persone ancora coinvolte emotivamente in una presa difficile da mollare e da cui farsi mollare. Partendo dalla casa di Mario Spezi, è visitando le campagne fiorentine che abbiamo capito il ruolo determinante del fiume e dell’acqua, è percorrendo le strade secondarie che abbiamo capito quanto inutili siano le autostrade, è l’aver percorso a piedi interi tratti di campagna ad averci convinto che era così facile dissolversi nella notte tornando tranquillamente a casa. E questo per fortuna abbiamo fatto trovandoci talvolta a mentire sulla nostra identità di fronte a chi ha ancora voglia di raccontare particolari mai saltati agli onori della cronaca; come in quel podere, lassù, sopra Baccaiano dove vive una coppia di anziani. Per loro eravamo dei semplici pellegrini di passaggio (abbiamo voluto che ci vedessero così), alla ricerca di una donna, amica di una lontana nostra parente, che fuggita da Firenze dopo la separazione dal marito, proprio in quel podere avrebbe trovato la nuova abitazione ed il suo nuovo amore. Erano i primi anni Ottanta e di lì a poco due giovani ragazzi di Montespertoli avrebbero perso violentemente la vita in quella piazzola di via Virginio Nuova così vicina a quel podere in altura se si decide di percorrere il greto del fiume ed arrampicarsi tra gli ulivi.
La descrizione di quella donna è ben impressa nella mente dei due anziani e si ricordano nomi, fatti, eventi che la mancanza di qualsiasi documento ufficiale non può bloccarti nel procedere verso la tua personale direzione. Così come ancora vive e per nulla represse sono le lacrime di una sorella, di una donna che ha perso il fratello nel fiore degli anni. Per lei non c’è pace e mai ci sarà se non nel voler convintamente buttarsi alle spalle il ricordo, l’inchiesta, i processi e come dice lei, la mancata giustizia. Sì, perché per questa sorella e per suo padre, recentemente scomparso, l’unico rammarico è non esser riusciti a dare un volto all’assassino del fratello e del figlio. Una famiglia che ha lottato, che ha investigato privatamente e che poi, con l’ennesimo invio di proiettili minatori giunti alla propria abitazione, ha deciso di cercare l’oblio, di vivere nell’anestesia di un dolore infinito. I viaggi presuppongono anche alcune soste ed è quello che abbiamo fatto: ci siamo fermati a parlare anche con chi il caso lo conosceva perché dalla parte della legge e della giustizia. Soste che interrompevano la ricerca di nuovi elementi e che riportavano all’unica verità che al momento esiste, quella processuale. Ed è durante questi break che percepisci un senso di impotenza ed imbarazzo anche in colui che avrebbe in mano tutti gli elementi, nessuno escluso, per dire che qualcosa di sbagliato è stato commesso, qualcosa che difficilmente può essere rimediato. Hai la sensazione che lotte intestine, guerre civili all’interno dei tribunali abbiano spostato l’obbiettivo dalla “verità” alla “soluzione” e questa sorta di meccanismo abbia fatto dimenticare che nessun oggetto, nessun verbale, niente di importante è stato assente o è mancato all’organo inquirente per poter scrivere la parola fine a questa orribile vicenda. Lo sono convinti i maggiori studi legali coinvolti e lo siamo noi che, ripreso il viaggio, di fronte alle dichiarazioni di una professionista sarda abbiamo capito quanto devianti fossero le voci che volevano i Vinci come ignoranti faccendieri semianalfabeti. Salvatore era un divoratore di libri, riceveva in carcere la visita e le lettere dell’alta borghesia e nobiltà fiorentina, aveva un particolare attaccamento alla madre e parlava un italiano corretto abbinandolo ad una gestualità ed uno sguardo attraenti e catalizzanti. E’ stato in quel momento, dopo questi colloqui avuti durante una trasferta in Sardegna, che ci siamo convinti sempre maggiormente che alla fine dei conti l’unica risposta mancante da parte degli inquirenti era proprio relativa a Salvatore Vinci, scagionato da una sentenza contraddittoria, ma mai da una prova o un elemento che lo potesse allontanare ufficialmente dall’ombra del mostro. Così in assenza di prove pro o contro, anche gli indizi a suo carico non hanno evitato che sparisse nel nulla. E se la pista sarda si chiude con un’archiviazione di massa, niente sembra voler bloccare la ricerca, o meglio l’ostinata ricerca di una giustificazione, di un fantomatico gruppo di psicopatici capitanati da Pietro Pacciani. Tornati dalla Sardegna non ci sfuggì l’opportunità di una bevuta intorno ad un tavolo da Briscola insieme agli anziani alla Casa del Popolo di Vicchio.
Il Mugello sembra rimasto fermo al solo duplice omicidio del 1984, agli sforzi dell’umanamente grande Rontini, alla sua caparbietà ed a quella voglia di veder qualcuno dietro le sbarre anche scapito della verità. Inizialmente l’anziano prova a giocare sulla memoria e sull’età, ma poi quando c’è da ricordare i momenti della giovinezza, della Vicchio di una volta, dei personaggi storici del paese, ecco che anche la vecchiaia lascia spazio ad una sana e audace visione dei fatti, anche quelli di cui si preferirebbe non sentir più parlare. Lontani dalla nostra tesi reputiamo giusto riportare questo colloquio informale, evitando nomi e cognomi, ma riscrivendo esattamente quanto scaturito da quel pomeriggio a Vicchio, alla Casa del Popolo, intorno ad un tavolo da briscola ed una spuma bionda in mano. Lo faremo domani, nel prossimo articolo perché il viaggio continua e, lontano dalle carte, lo farà solo attraverso luoghi geografici, della memoria e del cuore.
Andrea Ceccherini
Katiuscia Vaselli