Siena

Il vino novello

Novembre è arrivato e con esso anche il tempo di assaggiare il vino novello, una tradizione nata in Italia agli inizi degli anni ’80 sulla scia del Beaujolais Nouveau francese. (In questo caso abbiamo imitato dai cugini d’oltr’Alpe e forse non ci riesce neanche troppo bene).

Nel 1934 in Francia per rispondere alle esigenze commerciali dei produttori, che volevano immettere al consumo il proprio prodotto senza dover aspettare un anno dalla vendemmia, un gruppo di enologi inventò un nuovo modo di vinificazione per produrre il Beaujolais Nouveau, il vino novello francese. Con questo metodo i grappoli d’uva interi, prima di passare alla vinificazione, vengono sottoposti a “macerazione carbonica” in grandi vasche colme di anidride carbonica, per 5-10 giorni ad una temperatura costante di 30°.

Questo procedimento permette di estrarre dalle bucce gli aromi che daranno note fresche e molto fruttate, e di abbattere al contempo l’acido malico. Grazie all’aggiunta di anidride solforosa, si riesce ad innestare la fermentazione intracellulare senza l’aggiunta dei lieviti, e a velocizzare la successiva fermentazione alcolica. Il novello ha un colore rosso vivace tendente al violaceo, è poco corposo e poco persistente al palato, ma ha avvolgenti profumi di frutta di bosco (in particolare lampone, ciliegia e mora).

E’ un vino di “pronta beva” che si gusta piacevolmente così come è, appena stappato. Non è un prodotto da invecchiamento e va consumato entro la fine dell’anno o comunque non oltre i 6 mesi dall’imbottigliamento. In Italia vengono usati prevalentemente i seguenti vitigni: il Teroldego, la Lacrima di Morro d’Alba o il Sangiovese. In Francia si usa esclusivamente il Gamay.

Il disciplinare italiano prevede che sia immesso alla vendita il 6 novembre di ogni anno e che in etichetta venga riportata l’annata. Ci si può fare dell’ottimo vin brulé, oppure può essere abbinato splendidamente alle caldarroste. Vi sorprenderà accostato ai salumi e ai formaggi. E dunque stappiamo una bottiglia di novello come rito propiziatorio a chiusura di un annus horribilis, per spalancare le porte di una nuova e propizia stagione.

Stefania Tacconi

marco crimi

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