
Siena, con le sue contrade, la sua ricchezza artistica, il Palio e il fascino intatto di un tempo, viene spesso rappresentata come una città sospesa, immune dalle derive che affliggono molte realtà urbane. Eppure, negli ultimi mesi, le cronache locali hanno riportato episodi crescenti di violenza: risse tra adolescenti, aggressioni in pieno centro, danneggiamenti, minacce, atti vandalici sempre più audaci.
Questi fatti sembrano infrangere l’immagine idilliaca della città, sollevando interrogativi profondi sulle dinamiche psicologiche e sociali che si celano dietro questa rottura dell’incantesimo.
La tentazione è quella di considerare questi episodi come eccezioni, piccoli incidenti in un contesto tutto sommato sano. Ma sarebbe un errore. Ogni contesto sociale è attraversato da tensioni latenti che, in determinate condizioni, possono emergere con forza. Siena, pur nella sua peculiarità, non è immune a questi processi. E forse proprio la sua tradizione di comunità chiusa e protetta rende più esplosiva ogni rottura delle regole condivise.
Storicamente, le contrade hanno, da sempre, rappresentato un forte fattore identitario. Essere del Montone o del Nicchio non è solo un dato anagrafico: significa crescere in un sistema di valori, partecipare a rituali condivisi, riconoscersi parte di un noi. Oggi, questo tessuto simbolico, sebbene ancora vivo, sembra essere sempre più marginale. I valori che un tempo guidavano la crescita e l’identità delle persone si sono nel tempo assottigliati, lasciando spazio a un vuoto etico, che talvolta si trasforma in un profondo disorientamento.
Il senese di oggi, come molti giovani ovunque, non manca di possibilità, ma di significato. In un tempo che ha smarrito l’idea stessa di bene comune, in cui l’individuo e il protagonismo viene esaltato a scapito del legame, ciò che si insinua è un nichilismo diffuso, che rende tutto relativo, interscambiabile, effimero: uno vale uno. Laddove i valori non abitano più le parole né i gesti, tutto può essere travolto dalla pulsione, dalla rabbia, dall’istinto.
Erich Fromm ci ricordava che “l’uomo moderno vive in una condizione di profonda insicurezza, solitudine e ansia, perché ha perduto il senso di appartenenza e orientamento.” Parole che oggi, a distanza di decenni, suonano più attuali che mai. Senza radici, senza riferimenti etici condivisi, la libertà si trasforma in smarrimento.
Siena, nel suo lento vivere, nella sua estetica del tempo lungo, entra spesso in contrasto con questo senso di vuoto. Il risultato è uno scarto tra il ritmo interno e quello esistenziale delle nuove generazioni. La violenza diventa così una forma distorta di affermazione di sé, una ricerca di senso paradossale, mentre, increduli, la osserviamo da spettatori.
È più che apprezzabile, in questo contesto, lo sforzo dell’Amministrazione comunale che si è prontamente messa in moto, in sinergia con il Questore e il Prefetto, per affrontare in modo coordinato e responsabile la situazione. È un segnale importante: le istituzioni, quando funzionano, non solo rispondono, ma si mettono in ascolto.
Ma questo, da solo, basta? Siena deve tornare a educare, sia coloro che a Siena sono nati, sia coloro che Siena sta ospitando. Non solo nelle scuole, ma nelle piazze, nelle contrade, nei luoghi dove i giovani si incontrano. Serve una nuova alleanza educativa che sappia integrare linguaggi antichi e contemporanei, che insegni al rispetto, a sentire senza distruggere, a esprimersi senza urlare, a definirsi senza annientare l’altro.
Le cronache di violenza non sono solo sintomi di un degrado sociale. Sono segnali che rivelano un disagio profondo. Questi episodi raccontano un malessere che non può essere ignorato. Ma il rischio più grande non è la violenza in sé. È la nostra risposta ad essa.
Se ci limitiamo alla condanna morale, seppur giusta, al rimpianto dei bei tempi andati o alla delega repressiva, che di fronte a certi fatti è comunque bene che ci sia, perdiamo l’occasione per capire e intervenire. Guardiamoci allo specchio e accettiamo la sfida di leggere questi episodi come espressione di un vuoto educativo, simbolico ed esistenziale.
Come scriveva Popper, la nostra civiltà dipende in larga misura dall’educazione. Siena ha una storia millenaria, fatta di bellezza, di valori, di riti, di sapere. Forse è il momento di rimettere tutto questo al centro, per tornare a generare senso, appartenenza, umanità e soprattutto, identità. Solo così continueremo ad essere.
Dott. Jacopo Grisolaghi
Psicologo, Psicoterapeuta, Dottore di Ricerca in Psicologia, Sessuologo, PsicoOncologo
Ricercatore e docente del Centro di Terapia Strategica di Arezzo
Professore a contratto Università degli Studi eCampus e Università degli Studi Link di Roma
www.jacopogrisolaghi.com
@dr.jacopo.grisolaghi