Pubblicati su Nature Communications i risultati della sopravvivenza a cinque anni dal trattamento e dell’analisi multi-omica integrata dei pazienti con melanoma metastatico, trattati nella sperimentazione clinica NIBIT-M4, sviluppata da Fondazione NIBIT con il contributo di Fondazione AIRC.
Tra le strategie oggi più promettenti per aumentare il numero di pazienti oncologici che possono trarre beneficio dall’immunoterapia vi è la somministrazione combinata di farmaci immunoterapici ed epigenetici.
Lo studio clinico NIBIT-M4 in pazienti con melanoma metastatico è stato realizzato da Fondazione NIBIT con il contributo di Fondazione AIRC per la ricerca sul cancro. In questo studio i ricercatori guidati dal professor Michele Maio, direttore del Centro di Immunoncologia dell’Aou Senese, hanno dimostrato che la somministrazione successiva di guadecitabina e ipilimumab – il primo un agente ipometilante, il secondo un immunoterapico – migliora la risposta del sistema immunitario. Più precisamente, le cellule del sistema immunitario riconoscono e attaccano più efficacemente le cellule tumorali modificate nel loro DNA grazie al precedente trattamento con il farmaco epigenetico. Non solo, grazie a un’analisi multi-omica integrata, è stato anche possibile suddividere i pazienti in quattro differenti categorie, consentendo di prevedere meglio la risposta clinica e la sopravvivenza a cinque anni dal trattamento. I risultati della ricerca sono stati pubblicati online sulla prestigiosa rivista Nature Communications.
«Il melanoma metastatico – spiega il professor Maio, ordinario di Oncologia dell’Università di Siena, direttore del Centro di Immuno-Oncologia presso l’ospedale Santa Maria alle Scotte e presidente di Fondazione NIBIT – è uno di quei tumori che più ha beneficiato dell’avvento dell’immunoterapia. Purtroppo, però solo circa il 50% dei pazienti trae vantaggio da questo tipo di trattamento. Una delle possibili strade da percorrere per cercare di aumentare questa percentuale prevede la somministrazione dell’immunoterapia, abbinata a farmaci epigenetici che modificano le caratteristiche immuno-biologiche delle cellule tumorali, rendendole maggiormente “visibili” al sistema immunitario dei pazienti. L’idea è nata grazie ai nostri pionieristici studi iniziati oltre vent’anni fa, proprio sulle molecole in grado di modificare l’epigenoma del tumore».
La strategia utilizzata ha previsto la somministrazione di guadecitabina, un farmaco epigenetico capace di determinare modificazioni nelle proteine che sono avvolte attorno al DNA non solo delle cellule tumorali, regolando l’espressione genica di tali cellule. Le modifiche generate da questa molecola portano nelle cellule tumorali alla produzione di proteine di superficie che hanno un ruolo fondamentale nell’interazione tra tumore e sistema immunitario.
Così facendo il tumore risulta maggiormente riconoscibile da parte delle cellule di difesa immunitaria dei pazienti. In questo modo la guadecitabina crea le condizioni ottimali affinché gli immunoterapici somministrati successivamente possano avere maggiore efficacia.
Lo studio NIBIT-M4 di fase Ib ha coinvolto 19 pazienti con melanoma metastatico sottoposti alla somministrazione sequenziale dei due farmaci. Precedenti risultati erano stati presentati durante l’edizione del 2019 del congresso dell’American Society of Clinical Oncology (ASCO) e pubblicati sulla rivista Clinical Cancer Research. Tali dati, oltre a dimostrare la sicurezza e la tollerabilità della somministrazione in sequenza, avevano evidenziato un aumento del tasso di risposta alla malattia e una maggiore espressione di quei geni implicati nel riconoscimento tra tumore e sistema immunitario, chiara prova della bontà del metodo utilizzato. Per Anna Maria Di Giacomo – professore associato di Oncologia Medica presso l’Università di Siena, responsabile del programma di sperimentazioni cliniche di Fase I/II e coordinatrice dello studio – «i risultati pubblicati su Nature Communications aggiungono un ulteriore tassello alle nostre conoscenze sull’efficacia e sul meccanismo d’azione dei farmaci epigenetici: dall’analisi a cinque anni dall’inizio dei trattamenti è infatti emersa una sopravvivenza globale del 29% circa».
I risultati di questo nuovo studio sono stati realizzati anche grazie al contributo di EPICA (EPigenetic Immune-oncology Consortium AIRC), il consorzio nazionale, costituito nell’ambito del programma speciale AIRC “5 per mille” e coordinato dal Centro di Siena. Tale consorzio è composto, tra gli altri, da scienziati di diversa estrazione quali oncologi (Anna Maria Di Giacomo e Michele Maio), biologi computazionali (Michele Ceccarelli e Teresa Maria Rosaria Noviello, dell’Università di Napoli “Federico II”), e immunobiologi (Andrea Anichini e Roberta Mortarini, dell’Istituto Nazionale Tumori di Milano; Alessia Covre, ricercatrice dell’Università di Siena).
«Utilizzare un approccio multi-omico – spiega Michele Ceccarelli, docente all’Università “Federico II” di Napoli, Direttore del Laboratorio di Bioinformatica di Biogem e professore di Computational Oncology presso il Sylvester Comprehensive Cancer Center dell’Università di Miami –, è utile a identificare e quantificare tutti gli attori in gioco nell’interazione tra sistema immunitario e cellule tumorali. Con tale approccio abbiamo anche dimostrato che è possibile stratificare i pazienti in quattro differenti gruppi, discriminando tra tali gruppi sia la sopravvivenza globale che la progressione libera da malattia».
Maio ha concluso: «Quanto ottenuto dimostra in maniera inequivocabile la possibilità di ottenere un beneficio clinico a lungo termine mediante l’immunomodulazione epigenetica nei pazienti con melanoma in stadio avanzato. Un risultato che conferma la nostra iniziale intuizione sulla necessità di creare le condizioni ideali affinché gli immunoterapici possano agire al meglio delle loro potenzialità».
Nell’ambito di un ampio piano di ricerca, la Fondazione NIBIT sta proseguendo a esplorare il ruolo dei farmaci epigenetici in combinazione con farmaci immunoterapici con lo studio clinico di fase II NIBIT-ML1, sia nel melanoma sia nel cancro del polmone, per dare la possibilità a un numero sempre crescente di pazienti di beneficiare dell’immunoterapia.