In provincia di Siena non occupata un’abitazione su quattro. Il turismo svuota le case in Valdorcia e Chianti

Più di una casa su quattro in provincia di Siena non è occupata in modo permanente. A stabilirlo, sulla base di un censimento dell’Istat del 2021, è un’analisi condotta da Openpolis.

Il numero può sembrare allarmante ma va letto bene. Ed è anche per questo una premessa è doverosa: il dato non riflette particolari emergenze abitative.

Quanto emerge dallo studio è infatti sicuramente inflazionato dal fattore delle seconde abitazioni: se si va a vedere le percentuali più alte nei vari comuni si vedono picchi che superano ampiamente il 50% in aree come quelle del Chianti e della Val d’Orcia che sono notoriamente ‘buenos retiros’ per molti turisti. Sull’Amiata, tra Abbadia San Salvatore e Piancastagnaio, si supera il 40%

Dopo aver puntualizzato questo però adesso è il tempo di cogliere qualche spunto che magari può essere utile per i ‘policy makers’ del nostro territorio.

Si osserva infatti come le percentuali più basse sono nei comuni più abitati della provincia (Poggibonsi con solo un 10,9%; Colle Val d’Elsa 14,9%. ndr). Bassi anche i dati per comuni vicini al capoluogo: aree contermini a Siena come Monteriggioni e Monteroni d’Arbia hanno una percentuale di poco inferiore al 16% di case non abitate ed anche Sovicille si trova sotto la media provinciale.

In città e immediatamente fuori dalle mura non è occupata una struttura su cinque – 20,8% -, un numero più alto rispetto ad altre realtà del territorio ma ampiamente sotto l’asticella del 25.08%  della provincia.

“Nel corso degli ultimi decenni si è assistito a uno spostamento progressivo – anche se non sempre lineare – della popolazione dalle aree interne verso le zone più centrali del paese, in cui sono presenti più servizi e più opportunità lavorative. Questo movimento incide su numerosi aspetti, uno dei quali la disponibilità di abitazioni – è l’osservazione fatta da Openpolis-. Da un lato infatti nelle zone più attrattive ci si trova di fronte a vere e proprie emergenze abitative, data la scarsità di case disponibili. Dall’altra, nelle aree più distanti dai poli, ci sono strutture non abitate oppure sfruttate come seconde case”.

Per la Fondazione “si tratta di temi centrali anche nell’ottica delle amministrazioni: a seconda di quanto le aree sono popolate e del tipo di locazioni presenti, possono predisporre in modo più o meno capillare i servizi, oltre ad ottenere diverse entrate di tipo economico”.

Marco Crimi