Lo ha provato duramente sulla sua pelle il virus, l’ingegnere Claudio Petreni: è stato il paziente uno della Valdelsa, ha rischiato l’intubazione e tutt’ora, nonostante la guarigione, racconta di avere problemi ai polmoni ed al cuore. Sua madre, anche lei contagiata dall’infezione, è ancora debole e ferma nel suo letto. Il colpo più duro però è stato quando il virus gli ha portato via suo padre senza che lui potesse nemmeno dargli un ultimo saluto.”Avevo mantenuto tutte le misure di precauzione e mi ero allontanato da tutti . ci dice-, lui non lo avevo più visto da un mese”.
Nonostante il grande dolore per il lutto familiare Claudio ha trovato un motivo in più per combattere per tutti noi ed ha iniziato uno studio che, se fosse confermato, potrebbe costituire un tassello importantissimo nella lotta alla pandemia.”Ho notato che all’interno della mia famiglia le persone più sensibili all’influenza hanno accusato una forma di Covid più aggressiva mentre chi l’influenza virale non l’ha mai avuta – spiega-, o l’ha avuta con forme meno gravi, è stato colpito in modo lieve dal Sars-Cov2. Parlando con un po’ di persone ho visto che questa era una cosa che si ripeteva”.
Come ha spiegato stamattina nell’intervista con Siena News, con dei precisi parametri di ricerca e utilizzando un campione di una 50ina di persone, Petreni ha osservato che chi annualmente aveva influenze virali, con febbre sui 39-40 gradi, ha un capacità 22 volte superiore di sviluppare un’infezione di coronavirus aggressiva rispetto a chi non si ammala o si ammala sporadicamente – e con temperature inferiori- per colpa del virus a Rna.
L’analisi ” potrebbe segmentare la popolazione in due gruppi, permettendo di andare a lavorare chi ha solamente una forma di raffreddore e isolando invece chi è più a rischio “, continua lo stesso Petreni che poi si appella alla comunità scientifica, “l’unica che potrebbe dare una risposta esatta ed una base alle mie teorie”. A commentare lo studio è stato Emanuele Montomoli, epidemiologo e Ceo di Vismederi: “Il limite è il numero di persone che andrebbe ampliato – dice-. La ricerca è comunque ben sviluppata, adesso servono più cittadini che rilascino informazioni, l’Asl Sud Est ci deve aiutare”.
Di seguito la video-intervista completa