È sempre una lezione da ritenere in memoria – per quanto ne sopravvivrà – lo scambio di impressioni con ospiti che assistono al Palio accanto a te o che hai, magari, fuggevolmente incontrato nel tumulto del dopocorsa. Questo luglio i nomi che appunto nel voluminoso taccuino sono due: Pep Guardiola e Tullio Pericoli. L’allenatore del Barça ha fama di uomo che disdegna pose divistiche e parole urlate, un perfetto anti-Mourinho in versione catalana. E a vederlo spiegare ai figli con didattica tenerezza momenti e simboli del grande spettacolo, affacciato alla seconda bifora del Palazzo pubblico, era la dimostrazione eloquente di uno stile discreto, di una domestica affabilità. Quarant’anni, ma il Pep ha il fascino del giovane centromediano applaudito negli Anni Novanta e lo sguardo persuasivo e intenso di chi sa guidare senza durezze. Sprigiona un carisma dolce e naturale. Non perde un dettaglio della rappresentazione. È la prima volta – confessa – che vede la festa senese. Ne aveva sentito tanto paralare e ha voluto approfittare della coincidenza con la vacanza toscana, che trascorre a pochi chilometri da Siena, a Pianella, in un Chianti quieto e appartato. Proprio il suo desiderio di immedesimarsi nelle consuetudini del luogo e di seguire gli itinerari quotidiani ha dissolto il mistero. Chi lo pensava in Versilia, chi a casa Moratti, chi ipotizzava una sua presenza ad Arceno, dove Claudio Ranieri possiede la torreggiante Apparita che s’erge giusto all’ingresso della tenuta, sulla strada per san Gusmé. L’hanno invece sorpreso a far la spesa di mattina in un celebre negozio (via Chiantigiana 32, attestano le cronache) e poi all’edicola, a comprare la rosea “Gazzetta”, come un qualsiasi appassionato del pallone. Per chi, come lui, considera lo storico corteo che precede la carriera un racconto da leggere con attenzione minuta, è divertente scrutarlo come un universo da decifrare con l’eccitata fantasia dell’infanzia. E le domande non mancano. Chiede (con parsimonia) le informazioni minime necessarie e le traduce nel linguaggio di un padre premuroso e puntuale. Entra la comparsa della Pantera ed è un sobbalzo. Il regista del calcio blaugrana avverte come suo il fremito di quei colori: del resto quelli di Stalloreggi sono abituati a prestarli ai sentimenti di fierezza e libertà. Fu così quando erano applauditi dai giacobini e venivano festosamente accolti come omaggio alla Francia rivoluzionaria. Nel dopoguerra piacevano agli inglesi e agli Alleati per la consonanza con i loro amati vessilli. Guardiola ama l’arte e dopo il compendioso attraversamento del Rinascimento fiorentino compiuto sotto la guida di Matteo Renzi non c’era occasione più propizia che assistere al Palio per rendersi conto di quanto tenace sia in Toscana il culto delle tradizioni. “Molti rinascimentale” si lascia sfuggire di fronte all’indugio elegante di una sbandierata. In effetti l’impronta rinascimentale è dominante, assai più dei reiterati rimandi ad un approssimativo Medioevo. La cadenza marziale del corteo accompagna l’attesa. “Questa atmosfera è unica, si sente nell’aria una tensione di sfida”. Cercando di adeguarmi, da inesperto, al lessico calcistico gli dico che la corsa esige una precisione chirurgica non minore di quella che chiede lui ai suoi giocatori. “La corsa è furibonda, prende il cuore, indimenticabile”quasi sussurra. La piccola Maria è scioccata dalla caduta di Gingillo e dal fracasso che provoca: non riesce a trattenere le lacrime, piange e trema. Il padre l’accompagna a bere un bel bicchierone d’acqua e la rassicura: il cavallino è più vispo che mai, e anche il fantino se la caverà senza conseguenze. Di Guardiola rimangono in mente questi gesti premurosi nel fragore del trionfo. Chi osserva – vive – il Palio con adesione onesta e scevra da pregiudizi non può che dissentire dalle sbrigative condanne che si leggono, da certe sommarie sentenze. Tullio Pericoli, l’autore del drappellone, ha seguito la celebrazione senese dall’ottava trifora, in compagnia delle moglie. Non ha nascosto qualche rammarico. Anche lui non è di quelli che amano i toni alti. “Non avrei immaginato quell’accoglienza così calorosa e anche le indicazioni che ho avuto per dipingere questo stendardo così atipico sono state abbastanza sommarie” dichiara con inusitata modestia. È sempre difficile da risolvere il dilemma che si presenta alla committenza: “Subissare il pittore di un mucchio di prescrizioni o lasciargli la massima libertà?”Forse sarebbe opportuna una via di mezzo e non sbagliato attenuare l’ingombro di anniversari e tematiche difficili da comporre in una credibile fusione figurativa. Pericoli è il nostro David Levine, ritrattista impareggiabile e sorretto da un estro satirico di appuntita pregnanza. “Ma il problema – ammette – che mi son sentito di affrontare con più cura è quello della scala di un dipinto che deve essere percepito a distanza, e non è un quadro da appendere al muro e da osservare con calma”. Lo ha soccorso in questo la sua esperienza di scenografo tra i più prestigiosi e moderni. Quando il drappellone viene portato verso il Palco dei giudici è rapito da un rito civico di solenne semplicità. Anche lui non può far a meno di sottolinearne il sapore rinascimentale, così intonato alla grande figura femminile inscritto nel trofeo, come in una pala da polittico. E la figura presa a modello, si sa, è la Maddalena del Crivelli del polittico di Montefiore, smembrato come pochi, tra Londra e Detroit, Bruxelles e Honolulu e New York. Ora un’eco s’innalza nel Campo stipato all’inverosimile. Il profilo della donna si staglia contro un serto di frutta di quelli che tessono un inno alla fecondità della terra. Trasformata in una generosa e incoronata Italia, l’occhieggiante e maliziosa Maddalena ha assunto sembianze realistiche e lievemente matronali. La scala funziona, eccome! Ora è evidente la riprova. Offre tre mele che hanno i colori del vessillo dell’Italia e, manco a farlo apposta, della bandiera dell’Oca. “Sei stato davvero profetico!”. I complimenti a fine corsa si sprecano. Pericoli si schermisce. Laico com’è, si sente a disagio in vesti non sue. È da antologia la sua visione aerea, da sghemba geometria futurista, di un Campo serrato da una fitta sequenza di palazzi, mentre sulla pista guizzano fulminei come insetti i neri cavalli, in una scia di fuoco: niente a che vedere con la “vampa” che assale la donna della citatissima poesia di Eugenio Montale, dove “vampa” indica il calore intollerabile che stringe chi guarda la “sommossa vastità” d’una piazza accesa di antiche passioni. E non si sono estinte con i secoli. Roberto Barzanti
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