La colonna del Ponte è malata. L’arenaria del suo fusto grigio si disgrega, pregiudicandone la stabilità; sua e quella della lupa che sorregge alla sua vetta. Anche il marmo del simbolo della romanità di Siena ha bisogno di cure: il tempo col vento, la pioggia e i piccioni ne ha lisciato e corroso le fattezze. Opportunamente transennata e sostenuta da due sbilenchi tubi Innocenti, ora attende impaziente di riprendere con dignità il suo ruolo di sostegno alle molte bandiere che nei giorni del Palio la fanno più bella. Unica, delle tre deputate a sostenere la bandiera di un Terzo, la nostra colonna appartiene a una Contrada: il Nicchio, che, perciò, con pieno diritto vi appone le sue insegne.
Recita, infatti, il Bando di Violante: ”Dalla Porta S. Viene comprenda tutte le strade Pìspini e S. Gaetano, Fiera Nuova e Fiera Vecchia e strada del Refugio col convento di Santa Monaca, piazza del ponte inclusavi la colonna ecc.”
Da ogni onore consegue un onere, e il Nicchio, di ciò consapevole, ha sentito il dovere di curare l’ammalata. In collaborazione con l’Autorità comunale, ottenute le debite licenze dalla Sovrintendenza, si appresta ora iniziare le terapie del caso facendosi carico del loro relativo onorario.
Come Nicchiaiolo (ma, in questo caso, ancor più come Senese) il fatto m’inorgoglisce: è, infatti, un‘altra inconfutabile prova del risveglio nel cuore profondo delle nostre Contrade di quel senso civico, senza il quale esse declinerebbero inevitabilmente verso una sorta di circolo rionale in costume, interamente dominato dal riduzionismo paliogastronomico.
Se il contributo del Nicchio a questo risveglio è innegabile, è anche di grande conforto costatare che esso si manifesta in tutte le consorelle, secondo le peculiarità di ciascuna.
E’ cruciale per le nostre secolari istituzioni, grazie a una rinnovata consapevolezza del grande patrimonio di civiltà di cui sono eredi, combattere ogni rischio di subalternità al Palio, del quale devono essere protagoniste: non subalterne contribuenti al jack-pot dei fantini.
Il Palio deve restare l’appassionante occasione per mettere alla prova la forza morale (non solo materiale) di ogni Contrada: il breve, magico momento della loro vita, in cui esse accettano con coraggio la sfida dell’instabile Fortuna.
Poiché, come ha detto Santa Caterina: “Non è buono il cavaliere se non si prova sul campo della battaglia”.
Paolo Neri
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