La cucina italiana scala l’Olimpo e arriva ad un traguardo dove nessuno prima d’ora era riuscito ad arrivare: dopo due anni di intenso lavoro tra Ministero dell’Agricoltura e della Sovranità Alimentare e Ministero della Cultura è la prima al mondo ad essere ascritta nella Lista rappresentativa del Patrimonio Culturale Immateriale dell’Unesco.
La lista Unesco raccoglie simbolicamente i beni materiali (come i siti storici) o immateriali (come appunto la cucina o altre tradizioni), indicati come il tesoro che va protetto e tramandato per il futuro dell’umanità. In Italia moltissimi siti storici o beni culturali ne fanno parte, e tra i beni immateriali qualche tempo fa erano state iscritte anche la cerca e cavatura del tartufo e la dieta mediterranea (l’Italia ne ha 9 ed ha il primato mondiale).
La decisione, presa questa settimana dal Comitato intergovernativo dell’organizzazione, a Nuova Delhi in India, che ha approvato l’iscrizione della candidatura della “Cucina italiana fra sostenibilità e diversità bio-culturale”, ha fatto il giro del mondo.
Un risultato che è anche il frutto di sforzi significativi compiuti negli ultimi sessant’anni da organismi rappresentativi chiave come la rivista “La Cucina Italiana”, l’Accademia Italiana della Cucina e la Fondazione Casa Artusi. Questo traguardo servirà a ridare fiducia al settore della ristorazione, del turismo e dell’agroalimentare, ma servirà anche a portare avanti la propria ricchezza culturale e storica sulle quali si fonda questo patrimonio. Per troppo tempo la nostra arte di cucinare, che poi è anche un’arte di vivere, ha subito una sorta di complesso di inferiorità rispetto ad esempio alla cucina francese. Non erano pochi gli chef che cercavano di imitare lo stile della “nouvelle cousine” in una corsa alla ricerca della stella Michelin.
Fortunatamente poi si è verificata un’inversione di tendenza, che ha portato i giovani chef verso una progressiva riscoperta dei sapori e una valorizzazione degli ingredienti e delle materie prime locali. Tuttavia per preservare il patrimonio è necessario anche educare, tramandando i saperi alle nuove generazioni, proprio come si faceva una volta.
Dietro ogni ricetta c’è una storia legata ad un territorio, c’è un sapere fare di origini antiche popolari. E questo avviene nelle sagre popolari e anche all’interno delle mura domestiche, perché la nostra arte culinaria come si legge nella motivazione (riportata da Ansa): “favorisce l’inclusione sociale, promuovendo il benessere e offrendo un canale per l’apprendimento intergenerazionale permanente, rafforzando i legami, incoraggiando la condivisione e promuovendo il senso di appartenenza.” Un mosaico di culture regionali che vede nella convivialità e nella condivisione il suo epicentro.
Stefania Tacconi