Il fascino della campagna a favore del Conolly consiste, a mio parere, nell’avere un piede nel passato ed uno nel futuro. Quest’ultimo consiste nel sogno di riuscire a rendere quell’edificio un centro culturale di livello internazionale in cui si possa studiare, discutere, documentare e lavorare per temi come l’integrazione e l’inclusione sociale e tanti altri simili, ma con un tono che possa essere divertente ed accattivante. Così anche Costante Vasconetto lo ha disegnato nel suo pezzo della scorsa domenica. Per ora rimane un sogno ma se si avverasse Siena guadagnerebbe un interessante e diverso polo di attrazione rispetto a quelli ormai ben conosciuti.
Però sono contento di dire che alcuni di quei racconti hanno rimesso davvero in moto memorie nascoste, rispolverando a volte segreti familiari e ridando in fondo, anche se solo sulla carta, di nuovo vita ad alcuni di loro.
Certo, dopo il futuro ed il passato, manca all’appello il presente sul quale stenderei invece un pietoso velo. Infatti,il presente del quartiere Conolly continua ad essere uno stato di discreto degrado, appena mitigato dai lavori fatti dalla Asl sui tetti, e quell’edificioè diventato oggetto di un palleggiamento continuo di responsabilitàtra le varie istituzioni interessate, che ormai va avanti da anni, senza che nulla succeda.
Questa seconda raccolta firme che sta andando avanti (a rilento, purtroppo!) riparte da alcune cose che si erano fatte nella precedente. Per esempio, come accennavo prima, da quella serie di racconti che uscivano sulle colonne di Siena News. Più tardi, finita la gara,quelli scritti sono diventatiun paio di libri: il primo “Il villaggio delle anime perse” metteva insieme una ventina di quelle storie che più mi avevano colpito. Il secondo, dal titolo “Roy, il pittore che odiò Siena”, fu invece incentrato su un’unica storia, quella appunto di Giovanni Roy che durante un suo breve soggiorno a Siena incappò in un ricovero al San Niccolò. Entrambi i libri si sono avvalsi della collaborazione importante data da Riccardo Manganelli che con i suoi disegni non li ha solo abbelliti ma ha finito per dare di quelle storie anche la sua personale interpretazione.
La prima storia che viripropongo è quella di Bianca Brogi che nel libro intitolai “Una diva dimenticata” e che è riemersa per la voce di alcuni parenti tutt’ora viventi a Livorno.
Mi hanno contattato e ringraziato, aggiungendo il loro punto di vista su questa parente estrosa ed un po’ bizzarra, ma che indubbiamente si è fatta largo nella vita. Avevo del resto intuito che la sua parentesi psichiatrica fosse stata non solo breve ma anche un po’ casuale e episodica.
Riassumo in sintesi alcuni tratti di quella vicenda. Bianca Brogi, nata a Siena ma in quel periodo residente a Roma, dove stava tentando di sfondare nell’ambiente artistico, viene ricoverata all’OP nel 1923 e vi rimane per un paio di mesi. Proveniva dal Santa Maria della Pietà di Roma e da lì era stata trasferita a Siena per competenza territoriale. Il suo ricovero poteva essereinterpretato, almeno in parte, come una manovra strumentale per bloccare il tentativo del marito di separarsi da lei. Manovra che alla fine ottiene il risultato, infatti l’appuntamento dal giudice per la separazione cade nei giorni del suo ricovero, così viene rinviato e poi mai più ripreso. Al di là poi della cartella clinica ero riuscito a seguire la sua vicenda facendo riferimento ad altri documenti,a cui ero arrivato un po’fortunosamente, che mi avevano permesso di osservarealcuni brani della sua parabola esistenziale fino quasi alla fine.
Le nuove notizie provenienti dai parenti confermano madanno colore ai particolari di questa vicenda.
Bianca – si dice – era molto attaccata al marito che le aveva permesso di frequentare l’alta borghesia romana e da lui non si sarebbe mai staccata e forse per ottenere questo scopo finì per fingersi un po’ pazza. Il marito, il Cav. Bruno Moscati, era ebreo e finì purtroppo la sua vita nei campi di sterminio, lasciandola unica erede delle sue sostanze. Tra queste proprietà c’eral’appartamento romanodi via Brunetti, situato nella zona degli artisti, vicino a Piazza del Popolo. È qui che la Brogi viene ritrovata, tre giorni dopo la morte, nell’ottobre del 1979, seduta su una poltrona con una sigaretta ancora in mano. L’appartamento, nella descrizione fattami, ricorda un po’ quello della diva di Viale del Tramonto. Pieno di cose e di cimeli, arredato con grandi tendaggi di velluto rosso come se fosse il palcoscenico di un teatro ma inevitabilmente anche un po’ sporco e trasandato. La Brogi non si era mai del tutto affermata nell’ambiente artistico, vivendo sempre di particine e di conoscenze, secondo alcune voci anche diventando l’amante di alcuni potenti. Il vertice di questa modesta carriera pare che sia stato un piccolo ruolo affidatole da Fellini nel film “La Strada”, dove interpretava la domatrice dei leoni.
Nel suo testamento, confermando la personalità estrosa, lasciò scritto che alla sua morte avrebbe voluto esser trasportata con una carrozza trainata da sei cavalli bianchi, ma per i parenti purtroppo non fu possibile esaudire tale desiderio.
Sono venuto anche a conoscenza che la tomba di Bianca si trova alla Misericordia di Siena. E non è una tomba come tante altre. Infatti, oltre ad avere ancora qualche fiore fresco, porta la seguente scritta:
Nella pace del Signore Iddio
qui riposano le spoglie mortali
della Nobildonna
BIANCA BROGI MOSCATI
20.11.1895 1.10.1979
Poetessa dott. accademica honoris causa
Vedova del cavalier Bruno Moscati
Martire della Seconda guerra mondiale
perpetuo ricordo
di quanti le vollero bene
Alcune delle notizie riportate sembrano, come dire, un po’ ingigantite e si pensi che questo è solo parte di ciò che voleva scritto sulla sua tomba. In realtà avrebbe voluto un poema ma i parenti semplificarono un po’.
Inoltre, il sepolcroè dotato di un busto in bronzo in cui lei appare con il toccodella laureata, ritratta con il volto giovane e serio. La parente con cui ho parlato mi ha detto che in famiglia era molto ammirata per la sua determinazione ed il suo successo considerandola quasi una celebrità. Certo che la stima di sé non le faceva difetto e l’ha sorretta fino in fondo, tanto che i desideri espressi per il suo funerale sono stati almeno in parte esauditi.
L’ultimo aspetto che voglio sottolineare e che la rende “attuale” consiste nel fatto che, da fervente animalista, ha lasciato tutto ad un’associazione di quel tipo, anche un casolare vicino a Zagarolo utilizzato per canile e gattile.
Oggi è qualcosa che capita spesso ma ricordo a tutti che lei lo fece nel 1979.
Insomma, una donna di grande personalità, forse un po’ bizzarra e piena di sé, ma che riuscì a vivere una vita orgogliosamente libera fino alla fine.
Andrea Friscelli
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