Immaginate di starvene comodamente seduti sul divano di casa in compagnia dei vostri amici, magari con un buon drink in mano da assaporare lentamente. L’atmosfera è allegra e i vostri ospiti conversano amabilmente fra di loro. Niente di meglio, a questo punto, che un po’ di buona musica in sottofondo… dal vivo. È questa l’innovativa idea lanciata da La Gerberette, un quartetto di “musici” – come loro stessi amano definirsi – che ha portato sul nostro territorio l’innovativo format dei concerti a domicilio, ispirandosi ad un fenomeno che affonda le proprie radici negli USA. Una sorta di processo inverso rispetto alle classiche forme di fruizione della musica, nelle quali è il pubblico che si muove per raggiungere il luogo dell’evento musicale: in questo caso, invece, accade esattamente il contrario.
La Gerberette – band attiva dal 2014, formata da Alessio Orrico alla chitarra e alla voce, Filippo Turillazzi al contrabbasso, Giulio Piane alle percussioni, Riccardo Fratarcangeli alle chitarre – è prima di tutto un gruppo di amici di vecchia data. Per quanto riguarda l’approccio alla scrittura e alla composizione, si contraddistinguono, fin dall’inizio, per l‘impiego di strumentazione acustica e semi acustica. Una musica “tascabile”, suonabile nel più piccolo dei locali come sul più grande dei palchi, senza per questo dover rinunciare all’energia e alla fisicità che avevano contraddistinto i loro precedenti progetti.
Ad un anno dalla pubblicazione de Il sudicio del mare – si tratta del lavoro d’esordio della band senese – siamo andati ad intervistarli per approfondire la loro esperienza di home concert, che si inserisce all’interno del progetto di crowdfunding lanciato su Musicraiser per la produzione del nuovo Ep. Sarà possibile contribuire alla realizzazione del disco fino al 15 maggio. Ad ogni donazione corrisponderà una diversa “ricompensa”, a seconda dell’entità dell’importo: dal cd alla t-shirt, fino alla possibilità di partecipare a delle lezioni di composizione musicale tenute dai componenti della band.
Come descrivereste la vostra musica?
“Difficile definirla con una sola parola: romantica e al tempo stesso maleducata, ruffiana ma onesta, raffinata e insieme caciarona. È il risultato del nostrala voglia di divertirsi e sudare sullo strumento, di raccontare e raccontarci, coinvolgendo il pubblico e abbattendo la barriera del palco per creare un momento di condivisione. Il nostro sound è la somma delle molteplici esperienze dei singoli membri: dal jazz al rock, dal cantautorato al punk”.
Perché suonare direttamente a domicilio, in casa della gente?
“In realtà è bastato assecondare la natura stessa della band. Siamo nati schitarrando nelle strade, quindi la nostra musica si presta anche alla semplificazione estrema che la situazione di un home concert richiede. Ovviamente non si può contare sulle apparecchiature professionali di un live in un locale, ma l’atmosfera di divertimento e condivisione che si crea ha una valore inestimabile”.
Quali sono le sensazioni che si provano durante una situazione così particolare?
“La cosa che sorprende è vedere come le stanze in cui viviamo quotidianamente cambino radicalmente appena gli strumenti vengono montati in attesa del concerto. Anche il più inaspettato e inadeguato degli appartamenti può diventare la scena perfetta per un concerto unico. Dopo una canzone la casa diventa di tutti e si condivide tutto: noi mettiamo la musica come gli altri mettono da bere o da mangiare. Tutti mettono la voglia di ballare”.
Cosa c’è di diverso rispetto ai concerti “tradizionali”?
“Da parte del musicista c’è la necessità di essere flessibile. Spesso l’acustica non è adeguata, i volumi non sono ideali, lo spazio è stretto e lo stesso set di strumenti va ridotto all’osso. Ma… less is more! A volte togliendo tutto ciò che è superfluo si raggiunge l’essenza. Per il pubblico, invece, è divertente sperimentare un rapporto confidenziale con il gruppo. Inevitabilmente trovarsi in pochi metri quadri pieni zeppi di musica abbatte dopo poco ogni timidezza o imbarazzo”.
Raccontateci del nuovo Ep.Â
“Si intitola L’apocalisse ci troverà in pigiama e, come ogni Ep, raccoglie canzoni dalle atmosfere disparate, molto diverse l’una dall’altra. La frase che le unisce, il titolo dell’album, è tratta da uno dei pezzi del disco, Un meteorite nel giardino, e vuole raccontare il senso di inadeguatezza, ma anche di ironia, con cui ci piace affrontare e raccontare situazioni apparentemente banali o ordinarie, ma a loro modo e nel loro piccolo ‘apocalittiche’. La vera particolarità di questo lavoro sta nel fatto che si tratta di un Visual Ep, ovvero un disco con un numero limitato di pezzi (6-7) accompagnati da altrettanti videoclip. L’obiettivo è quello di proporre un formato insolito e sperimentale che intende rispondere all’obsolescenza del formato ‘album’, in modo da porter dare uguale spazio e importanza ad ogni singolo brano. Questo ci permetterà di diffondere la nostra musica sia tramite copie fisiche che digitali, attraverso i social network e le piattaforme audio/video”.
Progetti dopo l’uscita del disco?
“Saremo ovviamente impegnati con un po’ di sana promozione: cercheremo di sfruttare l’estate per goderci qualche bel festival prima di chiuderci in locali e localetti per l’autunno\inverno. Abbiamo intenzione di starvi fra i piedi per un bel po’! Se poi nel frattempo riusciamo a laurearci, male non fa”.