La grande ascesa dei vini dealcolati italiani in Usa penalizzata dal vuoto normativo

Siano religiose, salutistiche o lavorative (si pensi a chi lavora guidando), la cavalcata dei vini a bassa gradazione o dealcolati è in continua ascesa.

Questa è stata evidenziata come la nuova tendenza nel settore, e l’Italia si colloca tra i primi paesi esportatori di vini a bassa gradazione negli Stati Uniti dove i vini a dealcolati o analcolici stanno letteralmente spopolando, tanto da rappresentare il 28% degli acquisti totali di prodotti vitivinicoli italiani negli Stati Uniti.

A rivelarlo è un’indagine condotta dall’Osservatorio dell’Unione italiana Vini, che ha anche scoperto come questo affare non arricchisca le tasche del Belpaese ma piuttosto quelle degli operatori del mercato estero. I vini italiani a bassa gradazione vengono venduti a circa il doppio delle bottiglie statunitensi (si parla di 16,00 $ al litro contro 7,00$) e addirittura il 5% in più al confronto con la media dei vini italiani tradizionali.

Sono “rossi, bianchi, spumanti, prodotti aromatizzati” tricolori quasi sconosciuti nel nostro mercato interno, spesso confezionati in lattine da 7 gradi in giù, per un giro d’affari di 651 milioni di dollari tra grande e piccola distribuzione americana. Si tratta spesso di prodotti finiti provenienti dallo Stivale, che arrivano negli Usa e poi vengono commercializzati con un marchio americano. Dati impressionanti soprattutto se si considera che il vino analcolico, partito con numeri bassi, nel giro di due anni ha raddoppiato le vendite negli Usa, attestate oggi – secondo l’Osservatorio Uiv – a 62 milioni di dollari.

Una grande opportunità, che rischia di venire vanificata, perché ad oggi in Italia manca una normativa di settore. Come spiega il segretario generale di Uiv, Paolo Castelletti: “Oggi per fare vini low alcol i produttori italiani hanno tre strade: utilizzare il vino come base per bevande aromatizzate, produrre vini da mosti parzialmente fermentati, oppure – in caso vogliano procedere con la dealcolazione – delegare il processo produttivo nei Paesi europei diretti competitor”.

Nel sottolineare l’urgenza con la quale bisogna colmare questo vuoto legislativo, prosegue: “Da tempo Uiv sollecita un intervento normativo per disciplinare una produzione che l’Unione Europea ha autorizzato da più di due anni. Siamo gli unici a non aver ancora recepito il regolamento Ue, con evidenti svantaggi competitivi rispetto ai produttori comunitari”. Si rischia anche il paradosso di trovare al supermercato vini dealcolati provenienti da altri paesi.

Stefania Tacconi