La lettera : “Io, infermiera in trincea ho imparato qualcosa dal coronavirus”

Riceviamo e pubblichiamo la lettera di Sara, infermiera senese che da aprile di questo anno lavora al policlinico Le Scotte dopo aver lavorato 3 anni a Piacenza. Sara da qualche settimana è operativa dentro il reparto covid dell’ospedale ed ha scritto questo messaggio sperando che la sua esperienza possa servire da insegnamento e renderci tutti più forti in questo momento difficile.

“Caro mondo,

Come tante mattine, anche questa mattina mi sono alzata presto. Sono le ore sei di una giornata già calda e.. dal sapore strano. La consuetudine mi porta a prendere il mio pc e scrivere i fiumi di pensieri che mi attraversano la mente. Questi ultimi mesi mi sono sembrati un tempo lungo ed interminabile. Il tuo popolo ha sofferto.. ha sofferto per la malattia, per la pandemia.. ha sofferto per non aver potuto soffrire, per non aver potuto piangere le proprie perdite ed i proprio dolori.. ha sofferto a causa dell’ignoranza e dell’incoerenza.. ma soprattutto ha sofferto perché si era “abituato” a quel confort comodo e caldo fatto di agio, assenza di ritmi, pieno di standard e ricco di certezze apparenti.

Il virus SARS-COV2 ha travolto i tuoi abitanti e li ha stravolti.. ma solo Dio ed il tempo sanno e ci faranno capire se davvero li ha CAMBIATI, e per cambiare intendo migliorare. Ognuno di noi da questa esperienza ne uscirà diverso e plasmato, vuoi per l’isolamento ed il distaccamento sociale.. vuoi per le riflessioni che dentro noi stessi abbiamo fatto.. vuoi per le esperienze traumatiche vissute.. tutto dipenderà dal messaggio che ne trarremo e dall’uso che faremo di esso.

Non c’e giorno dove il mio pensiero non si direzioni sulla sofferenza fisica e sulla morte. Il naturale ritmo dello star male e della malattia non trovano più la “cura” di poco tempo fa, dove il prendersi cura passava dal tocco.. da quella carezza sui capelli bianchi e stanchi di un nonno che aspetta la visita del nipote, dalla stretta di mano di un marito al capezzale di una moglie affetta da patologia oncologica ed alla quale non resta più molto tempo da vivere. Questa pandemia ci ha tolto la possibilità di stare vicino ad i nostri cari nei momenti della sofferenza.. non ha permesso il conforto di anime e corpi.. ha impedito di celebrare i riti religiosi e dare degna sepoltura a chi abbiamo amato ma non abbiamo potuto piangere.

Personalmente mi sono trovata a non riconoscere più i malati ed i loro bisogni. Quei bisogni sono improvvisamente triplicati, quadruplicati. Eri li, disposto a tendere la tua mano e la tua anima.. ma non bastava a sopperire all’assenza di un familiare. Mi sono resa conto di quanto gli sforzi a fare, fare bene e migliorare.. spesso siano vani o meglio.. inutili. Questo mi ha resa cosciente di quando l’essere umano sia “umano” e di quanto la fragilità si confermi importante per la creazione della solidità.

Negli occhi delle persone ho incontrato spesso la paura.. la paura di essere soli in un letto di ospedale, la paura a chiedere aiuto, la paura di non farcela.. la paura della morte. Questa volta la paura non ci ha visti scappare.. perché in molte situazioni non abbiamo fisicamente potuto farlo. Avere paura.. fa paura ma fa anche male e tira fuori da noi tutte le nostre insicurezze e tutta la nostra forza.

Ad occhi chiusi mi sono spesso messa nei panni di chi, steso in quel letto, stava vivendo la propria malattia e la propria sofferenza fisica ed interiore nel non potersi sentire circondato dal calore dei propri affetti. Chi non ce l’ha fatta.. chi in questa battaglia ci ha lasciato la vita.. bhe queste persone, a mio avviso, rappresentano la sconfitta dell’umanità e di chi ha tentato di prendersi cura di loro.

Dall’altra parte penso a chi non è potuto esserci.. a chi ha perso i genitori, figli, nonni.. a tutti coloro che non hanno potuto farsi quel pianto e stringere quella mano perché la legge non permetteva. Penso a tutti quei funerali mancati, a tutti quei corpi sepolti senza indumenti, avvolti in un telo impregnato di candeggina e deposto dentro ad una bara. Caro mondo.. questa volta ci hai messo tutti a dura prova, hai voluto vederci bene in faccia e non credo che questo sia un caso.Oggi ci è concesso un po di più.. ed è arrivato quel momento che tanto bramavamo.. concedersi il dolore. Finalmente possiamo celebrare le perdite e condividere la sofferenza. Possiamo dare avvio ai riti funebri e tentare di trovare pace in noi.

Non so se oggi il virus ti ha reso un mondo malato perché probabilmente lo eri già ieri e lo sei diventato per colpa nostra.. per responsabilità e per mano di chi ti abita e non è stato in grado di VIVERTI con rispetto e dignità. Le nostre vite sono sempre state super frenetiche e siamo diventati schiavi del tempo e delle abitudine che ci hanno inglobato al punto che.. per poter vivere il dolore, ci è servito un distacco.. per poter sentire la mancanza, ci è servito un distacco.. per poter riscoprire il valore dei valori, ci è servito un distacco.

Auguro all’umanità di compiere passi indietro e cadute per trovare una nuova spinta ed imparare a rialzarsi. Mi auguro che questo “blackout” mi abbia insegnato a guardare con occhi nuovi ed abbia allargato la mia visione. Auguro a tutti la riscoperta delle emozioni e l’allontanamento da ciò che ci avvicina al materiale, ci allontana da noi stessi e dal bisogno di unione e comunione.“Siamo stati presi alla sprovvista da una tempesta inaspettata e furiosa. Ci siamo trovati su una stessa barca fragili e disorientati, ma allo stesso tempo importanti e necessari, chiamati a remare insieme e a confortarci a vicenda. Su questa barca ci siamo tutti. E ci siamo accorti che non possiamo andare avanti ciascuno per con conto suo. Ma solo insieme. Nessuno si salva da solo.” F. Bergoglio

Sara”