Riceviamo e pubblichiamo integralmente la lettera che ci ha voluto inoltrare la signora Lucia Mugnai. La signora Mugnai si è ammalata nel mese di novembre, contagiata dal coronavirus, ed ha dovuto attraversare un percorso di guarigione non semplice. Oggi, che è guarita, la Mugnai ha voluto ringraziare tutti coloro che le sono stati vicini, dai medici dell’Usca, all’Asl, al medico di base finanche agli operatori di Sei Toscana.
“Tutto ha inizio il 25 novembre con i primi sintomi, quelli di una banale influenza, eseguito test rapido che risulta positivo, confermato 2 giorni dopo dal molecolare. È il 27 novembre quando arriva la prima telefonata dal personale della Asl che mi comunica l’isolamento domiciliare e la quarantena preventiva per tutti i conviventi (compresa la mia cagnolina che non avrei potuto accudire), l’attivazione del servizio Usca per le cure a domicilio e della Sei toscana per il ritiro dei rifiuti a casa.
Non capisci ancora cosa sta succedendo, saluti tuo figlio e la tua cagnolina che escono di casa con valigia e zaino, sai che staranno bene in un casolare in campagna a Castelnuovo Beraredenga, ma sai anche che ti mancheranno tanto, come ti mancherà tua figlia e la mamma anziana alla quale non vorrai raccontare tutta la verità per non preoccuparla. Improvvisamente ti ritrovi a essere da sola in casa, a misurarti la febbre ogni ora, a contare ogni colpo di tosse, a rifiutare il cibo senza sapore, a rispondere alle telefonate di parenti e amici dove le frasi ricorrenti sono “come stai?” “se hai bisogno, io ci sono”.
Sempre nella serata del 27 arriva la chiamata dai medici dell’Usca, una dottoressa carinissima mi fa un sacco di domande, sia sullo stato di salute del momento sia sulle patologie pregresse. Mi dice di procurarmi subito un saturimetro e che sarebbero venuti il giorno dopo a farmi una visita.
Ecco che il meccanismo si mette in moto, è domenica 28 novembre, suona il campanello. “Signora buongiorno, sono il medico dell’Usca”, un sospiro di sollievo e l’attesa per permettere al medico e all’infermiere che lo accompagna, di vestirsi nel pianerottolo del 1° piano, con tute, soprascarpe, guanti, mascherine, caschi con visiere che regolarmente si appannano entrando in casa. Ecco gli “astronauti” sono pronti, tutti per te, parole di conforto, qualche battuta spiritosa, sorrisi con gli occhi per alleggerire la preoccupazione e tanta tanta attenzione al mio stare, dare importanza ai piccoli particolari, non trascurare nessun dettaglio, e rispondere sempre in maniera chiara e sicura alle mie innumerevoli domande: “chiarire al paziente ogni dubbio e lasciarlo in uno stato di tranquillità, lo aiuta nella guarigione”
Inizia così il mio rapporto con l’Usca, la frase “ho il fiato corto” diventerà il mio e il loro tormentone, perché il virus mi ha portato complicazioni polmonari. Terapia di antibiotico e cortisone in dosi massicce. Vengo inserita immediatamente, nel protocollo per la terapia di anticorpi monoclonali, terapia somministrata il 30 novembre.
Vengo chiamata tutti i giorni: “Come sta signora, oggi?”, “Come respira?”, “La saturazione a quanto ce l’ha?”, “Ha preso i farmaci?”, “Domani veniamo a trovarla!”, “Ci chiami per qualsiasi cosa, al nostro cellulare!”. Vengo visitata a casa ogni due giorni, con prelievo ed ecografia ai polmoni, e la bombola dell’ossigeno arriva in aiuto e si posiziona di fianco al letto, come il più imponente dei soprammobili.
Faccio così conoscenza con tanti “angeli” che mi hanno seguita e curata con attenzione e competenza e mi hanno fatto sentire al sicuro, protetta e coccolata in un momento dove l’isolamento dai figli, dalla mamma, dalle amicizie, dalla cagnolina Mia e “dalla vita”, insieme al “fiato corto”, si faceva sempre più pesante. Angeli che per me sono come “Un fascio di luce nel profondo degli abissi” (Frase detta da un medico durante un ecografia, per spiegarmi che ancora i miei polmoni non erano guariti) e a loro va la mia immensa gratitudine.
I miei ringraziamenti vanno anche al medico di base, amico da anni e in prossimità alla pensione che mi ha chiamata o mi ha scritto tre volte al giorno, rassicurandomi: “Non ti lascio fino a quando non sei guarita”. Ai medici e agli infermieri di malattie infettive che il 30 novembre mi hanno accolto nell’ambulatorio dedicato alla somministrazione dei monoclonali, facendomi sorridere e ritrovare il coraggio. All’amica dottoressa infettivologa che ha vissuto con me ogni istante, facendomi compagnia nei momenti più critici, nascondendo la preoccupazione e facendomi sentire al sicuro, “Ovvia cosa ti cucini oggi di bono!?”. Agli impiegati dell’Usca e della Asl che si sono adoperati per informarmi, consigliarmi, aiutarmi a ottimizzare i tempi burocratici di intervento e prenotazioni, contribuendo così a mantenere alto il morale. Al sindaco e all’assessore alla sanità del comune di Castelnuovo Berardenga per aver sostenuto, con la loro disponibilità, mio figlio durante la quarantena preventiva. Agli operatori della Sei toscana che regolarmente hanno ritirato i rifiuti regalando sorrisi e parole di incoraggiamento. E poi agli amici, dai più intimi a quelli di contrada a quelli del volontariato, vicini e lontani, che mi hanno tenuto compagnia con messaggi e telefonate, raccontandomi mille cose per occupare il mio tempo, senza farmi affaticare e salutandomi quando sentivano che “il fiato si faceva corto”. Infine a tutti quelli che, con molta attenzione, mi hanno lasciano la spesa e le medicine davanti alla porta.
Il 25 dicembre vengo dichiarata guarita: l’incubo finisce dopo 30 lunghissimi giorni. Grazie ad una amica speciale che, senza indugio mi apre la sua porta, inizia un periodo di vacanza e recupero lontano da casa, con passeggiate all’aria aperta in compagnia di amici premurosi e dei nostri rispettivi cuccioli.
Termino questa mia testimonianza con questa frase: “Chi sorride ha il dono della semplicità”, frase regalatami per aver mantenuto il sorriso dall’inizio alla fine e se ci sono riuscita è grazie a tutte le persone, medici e non, che mi sono state vicine, ognuno a suo modo prezioso, prezioso come aver riscoperto il valore di una stretta di mano data con un guanto di lattice, prezioso come aver capito che i veri valori della vita esistono ancora dentro ognuno di noi.
Grazie“.
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