Siena

La Maestà di Duccio: non un dipinto ma una preghiera per Siena

Era il 9 giugno del 1311. “E il giorno che fu portata nella cattedrale, tutte le botteghe rimasero chiuse e il vescovo guidò una lunga fila di preti e monaci in solenne processione. Erano accompagnati dagli ufficiali del comune e da tutta la gente; tutti i cittadini importanti di Siena circondavano la pala con i ceri nelle mani, e le donne e i bambini li seguivano umilmente. Accompagnarono la pala tra i suoni delle campane attraverso la Piazza del Campo fino all’interno della cattedrale con profondo rispetto per la preziosa pala.
I poveri ricevettero molte elemosine e noi pregammo la Santa Madre di Dio, nostra patrona, affinché nella sua infinita misericordia preservasse la nostra città di Siena dalle sfortune, dai traditori e dai nemici”. Così viene descritta in una cronaca dell’epoca la grande processione con la quale la tavola raffigurante la Maestà con le Storie della Vita della Vergine, conosciuta come “La Maestà”, opera del geniale, un po’ folle, Duccio di Buoninsegna partiva da fuori Porta Stalloreggi e fare il suo ingresso in cattedrale. La grande pala andava a sostituire un’immagine della Vergine particolarmente cara ai senesi, la cosiddetta “Madonna dagli occhi grossi” o “Madonna delle Grazie”, davanti alla quale, come vuole la tradizione, i senesi si recarono a pregare e chiedere protezione alla vigilia della battaglia di Montaperti.
L’intento della committenza, raffinatissima, era quello di omaggiare ulteriormente la Vergine Maria, Patrona e Regina dello Stato Senese. La tavola era destinata all’altare maggiore perché chiunque entrasse in duomo doveva vedere Lei, per prima, Maria Santissima, con il manto blu come la notte e la veste rossa come il sangue a preannunciare il sacrificio di quel Cristo bambino che teneva in collo. Ed era circondata da tutto l’invincibile esercito del cielo, spiegato a proteggere Siena e la sua gente, affinché nessuno, nei secoli, potesse ferire, annientare la città. I senesi, ancora oggi, nei momenti di grande difficoltà si mettono nelle sue mani, così come, nei momenti di grande gioia è Lei che ringraziano. E quando vincono il Palio, in agosto, vanno ancora in duomo, nonostante La Maestà non troneggi più da secoli sull’altare maggiore, e cantano ciò che Duccio ha raffigurato: “Maria Mater gratie, Mater Misericordiae, Tu nos ab hoste protege”. Cantano la firma che Duccio ha apposto alla base dell’opera: “Mater S(an)cta Dei sis causa Senis requiei sis Ducio vita te quia pinixit ita”.
Una preghiera, non un dipinto.
Maura Martellucci
Roberto Cresti
emanuele giorgi

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emanuele giorgi

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