La morte di Riina e lo stato di diritto

Ero poco più che una bambina quando dall’edizione straordinaria del tg arrivò la notizia dell’attentato a Falcone. Qualche mese dopo, ricordo che eravamo al mare e tenevo in braccio la mia sorellina di pochi mesi, arrivò anche la notizia della morte del giudice Borsellino. Era l’estate del 1992, qualche mese prima in una conferenza stampa per la presentazione della candidatura di Ayala, fu scattata quella che forse è la foto più famosa dei due giudici siciliani (la foto di copertina). Volutamente, parlando della morte di Riina, la foto non è la sua. Lui non merita foto, loro si.

Il resto è cronaca: l’era delle stragi, poco dopo Mani Pulite, la latitanza, gli accordi con lo Stato (da Ciancimino a Lima fino ad Andreotti, accordi che comunque esistevano da sempre), i traffici con la camorra e la ‘ndrangheta, la condanna a 26 ergastoli, le centinaia di persone che per sua volontà o mano hanno perso la vita e la dignità. Questo era la ‘belva’ Riina. Mai pentito, fino all’ultimo forse rimasto il vero capo dei capi di Cosa Nostra, coerente con le ‘sue leggi’ di sangue e violenza, con le sue decisioni che hanno portato alla morte di uomini, donne e bambini in maniera cruenta. Non vogliamo dilungarci troppo proprio per non dare spazio a ciò che è stata l’esistenza di un ometto feccia. Feccia al pari di quanti con lui hanno fatto accordi. Indegni di nota e anche di perdono.

Il primo istinto, alla notizia della morte, è stato quello di esultare. Il demonio che se ne va è un successo. Poi però ci si ferma a riflettere un attimo e forse il più grande successo dell’Italia e dello stato di diritto è stato quello di aver fatto morire Riina in ospedale con i familiari vicino. Quella dignità che lui ha tolto a troppe persone e per troppo tempo, a lui è stata garantita. La violenza non rende giustizia e purtroppo non ridà indietro le vite, le persone. La dignità può aiutarci a vivere meglio e nonostante il perdono spesso non ci riesca – d’altronde siamo umani –  dobbiamo sforzarci di non avere pensieri violenti perché fanno male in primis a noi. Riina è morto, è un’ombra feroce che lascia spazio a un po’ di luce. Rimanga di lui il ricordo perché non si dimentichi cosa è la violenza, cosa è la ferocia, a cosa portano. Non ci si scordi di lui per non scordare i Falcone e i Borsellino (cosa che purtroppo di recente sembra accadere proprio in Sicilia, davanti alle scuole) che rappresentano le centinaia di vittime della mafia. Non ci si scordi di questa terribile pagina italiana perché è dalla mancata memoria che spesso nascono mostri e mostruosità. E lo Stato sia uno stato di diritto e garantisca, soprattutto, sempre, la certezza di pena. Gli italiani hanno fiducia nella giustizia, la giustizia non tradisca gli italiani.

 

Katiuscia Vaselli