Il corteo d’offerta dei Ceri e dei Censi, che ancora oggi si ripete ogni anno alla vigilia della festività dell’Assunta, ha origini antichissime, e anzi potremmo affermare che la corsa di cavalli nasce in conseguenza di questa cerimonia, non viceversa.
La prima, sparuta, documentazione che attesta l’esistenza del Palio alla lunga in onore della Madonna di mezz’agosto, infatti, risale al 1239 e da essa si evincono chiaramente due elementi. Intanto che il “gioco” aveva già una sua regolamentazione scritta, purtroppo non pervenuta, dunque era in uso ormai da tempo e ricadeva sotto l’egida comunale. E poi che si inseriva a pieno titolo nel quadro dei festeggiamenti di quella che senz’altro era la solennità religiosa più importante della Siena medievale, all’interno del quale, peraltro, doveva rivestire un ruolo subalterno rispetto al momento cruciale e più partecipato, costituito appunto dalla processione d’offerta dei Ceri e dei Censi in Cattedrale.
Una cerimonia dal profondo significato liturgico, con la quale Siena confermava ogni anno la propria devozione alla Vergine, ma che a partire dal XIII secolo assunse sempre più marcatamente anche un valore politico e simbolico, che finì per diventare preponderante. Perché la processione si tramutò in un momento di straordinaria autocelebrazione civica, dove Siena affermava la propria grandezza e supremazia, imponendo a tutte le comunità del contado soggette alla Repubblica di omaggiare la Madonna mediante l’offerta di cera in Duomo. Omaggio, ovviamente, che altro non era se non la conferma di un rinnovato e rinsaldato atto di sottomissione e fedeltà al Comune, oltre che una ghiotta occasione per dimostrare, anche ai forestieri presenti, la forza e la capacità organizzativa del governo cittadino.
Il rituale di sudditanza dei feudatari del contado mediante l’offerta di cera alla Cattedrale senese affonda le proprie radici alla metà del XII secolo. Il 1 maggio 1147, infatti, tre fratelli, signori di Montepescali, si sottomisero a Siena in una solenne cerimonia tenutasi in piazza San Cristoforo (l’attuale piazza Tolomei), donando al Vescovo Ranieri e al Comune varie parti e aree del loro castello. E tra gli obblighi che assunsero nei loro confronti, spicca per la prima volta quello di offrire ogni anno due ceri del valore di 5 lire lucchesi.
Formulazione che rintracciamo anche in successivi atti di sottomissione, come quello dei conti della Scialenga nel 1175 e dei conti di Frosini nel 1178. Interessante e inedita, invece, l’obbligazione assunta dalla chiesa e dagli uomini di Paurano nel 1193: il cero di 12 libbre che annualmente avrebbero portato a Siena nella festività di mezz’agosto, era destinato “alle opere dell’Opera del Duomo”, segno che forse già esisteva ed era definito istituzionalmente l’organismo preposto a gestire i lavori alla Cattedrale.
Nel 1198, poi, ancora quattro conti Scialenghi promisero di donare un cero di 6 libbre per Monte Sante Marie, uno di 8 per Chiusure, un altro di 6 per Rapolano e così via per Petroio, Asinalonga, Torre a Castello, Montegisi, Poggio Santa Cecilia e altri, recandosi ogni anno in Cattedrale per la festività dell’Assunta.
E dopo che anche gli uomini di Montelaterone (1205) e Montalcino (1212) avevano giurato di ottemperare ad obblighi simili, nell’incipit del “Memoriale delle Offese” si annotò un elenco di censuari cui fu imposto, tra il 1223 e il 1227, di offrire un cero “in festo Sancte Marie de augusto”.
Di fatto era il primo passo per la formalizzazione di quella che ormai stava diventando la principale cerimonia politico-religiosa della città medievale. Di lì a poco, infatti, essa venne rigorosamente regolamentata dagli Statuti comunali. Se ne trova traccia già in un paio di rubriche del Costituto del 1262, e più o meno le stesse disposizioni furono ribadite nel Costituto volgarizzato del 1309-10, dove balza agli occhi l’ingerenza delle magistrature comunali nella sua organizzazione.
L’offerta doveva avvenire in due momenti diversi. Il giorno della vigilia tutti i cittadini senesi e gli “abitatori assidui” tra i 18 e i 70 anni dovevano recarsi in Duomo, ognuno con la propria “contrada”, offrendo ceri e non doppieri, di giorno e non di notte. Chi avesse contravvenuto, sarebbe stato punito con un’ammenda di 20 soldi. Somma che ascendeva fino a 40 soldi per chi non partecipava alla processione, ed era a carico dei “Sindaci” delle singole contrade scovare gli assenti e denunciarli al Podestà. Le uniche categorie giustificate erano “li povari et li gravati d’odio et d’infermità”.
I rappresentanti delle comunità soggette a Siena, invece, dovevano recarsi in Duomo la mattina del 15 agosto, donando tante libbre di cera per quante centinaia di lire ognuna di loro era allirata. Il peso della cera da offrire era dunque direttamente proporzionale all’importanza della comunità. Si disponeva, inoltre, che con tre quarti di essa si dovesse realizzare un “cero fogliato”, cioè dipinto a fiori e foglie, mentre per il restante quarto si dovessero fare tanti ceri da una libbra. Spettava ai Quattro di Biccherna nominare, un mese prima della festa, un notaio e tre “buoni et leali huomini”, uno per Terzo, incaricati di diffondere l’ordinanza alle comunità e controllare che ognuna partecipasse, denunciando al Podestà le assenti. La multa da versare era pari a 20 soldi per ogni libbra di cera non donata. Infine si stabiliva che i ceri fogliati dovessero essere deposti “in alto ne la detta chiesa, si che per uno anno si debiano guardare, et ne la seconda festa si levino et pongansi li nuovi ceri”.
Grazie ad un’annotazione di spesa del 1281 è anche possibile ricostruire il corteo che si snodava per le vie cittadine. In testa c’era il cero offerto dal Comune (che ad esempio nel 1298 pesava ben 100 libbre, quasi 3.400 Kg), accompagnato da musici di palazzo. Seguivano poi le alte cariche cittadine e i rappresentanti delle comunità sottomesse con i propri gonfaloni.
La processione, insomma, non si discostava molto da quella dei giorni nostri, e anche altri dettagli lo confermano: i ceri non erano portati a mani nude, bensì all’interno di contenitori dipinti, mentre quello del Comune era issato su un specie di carretto, in qualche modo antesignano del carro odierno; la Signoria e gli altri funzionari venivano adornati con fili di ghirlande. Diversamente da oggi, invece, c’era l’usanza di banchettare nella sagrestia del Duomo al termine della cerimonia, mentre all’esterno si distribuiva vino a volontà e probabilmente anche cibarie.
Riguardo al percorso, non abbiamo testimonianze precise. Tuttavia una disposizione del Costituto del 1262 ordinava la demolizione di tutti gli archi e ballatoi nelle due strade principali, affinché la processione riuscisse solenne e perfetta. Si trattava delle vie che da porta Camollia e San Maurizio (ancora porta Romana non era stata costruita) portavano a quella di Stalloreggi (le Due Porte di oggi), attraverso le quali, pertanto, doveva transitare. Evidentemente la gran quantità di stendardi e gonfaloni necessitava di ampi spazi in altezza per poter sfilare. Sembra, dunque, verosimile che inizialmente il corteo si dividesse in tre spezzoni che confluivano in un unico punto, per poi recarsi tutti assieme in Cattedrale.
Una volta all’interno, si assolveva all’offerta più o meno come oggi: ogni gruppo, fosse esso una contrada cittadina o una comunità del contado, aveva i propri gonfaloni che lo rendeva riconoscibile; uno per volta venivano chiamati al pulpito a deporre la cera, che venendo impilata, al termine doveva raggiungere quasi il tetto della Cattedrale. E proprio questa altezza era la più palese testimonianza della potenza senese. In qualche occasione si raggiunse il peso complessivo di 30.000 libbre, dunque oltre 10.000 kg.
Perduto il suo significato politico dopo la caduta della Repubblica di metà Cinquecento, quando furono anzi i rappresentanti senesi a doversi recare a Firenze per la festività di San Giovanni, la cerimonia dell’Assunta fu comunque proseguita, mantenendo quantomeno il significato religioso e di sentita festa cittadina. L’offerta dei Ceri e dei Censi fu interrotta nel 1864, in pieno clima anticlericale, per poi essere ripristinata nella forma attuale a partire dall’agosto del 1924.
Roberto Cresti
Maura Martellucci
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