In una città stabilmente circolare come Siena, il pittore R.M., che vi era nato, camminava in cerca di idee, tornando sempre là dove il percorso era cominciato. Gli era stato conferito il compito di dipingere il drappellone per la carriera del 2 luglio.
Aveva immaginato di riempirne lo sfondo con un paesaggio di crete disabitate, una tebaide desertica, colta nella statica attesa di essere animata dall’eco della vittoria, che vi avrebbe immesso la vita. Il busto terrigno della Madonna di Provenzano lo avrebbe raffigurato in alto, al centro del cielo steso incolume in una vacuità lapislazzuli, quasi Ella fosse pronta a discendere su quelle plaghe sottostanti per glorificarle.
Gli mancava però l’oggetto da collocare al centro e in primo piano. Il suo intento era stato inizialmente quello di rappresentare i cavalli da dietro, in corsaascensionale, non cavalcati dai fantini e senza i manti coi loro colori naturali, ma con quelli delle dieci contrade partecipi, come se a ogni barbero fosse connaturata la contrada stessa. Qualcosa di incognito nel suo animo lo tratteneva però dall’adottare senza riserve questa soluzione.
Camminando incessantemente per le vie e lungo le loro interminabili svolte, R.M. scorse all’improvviso una ragazza attingere acqua a una delle fontanine di contrada: possedeva quella muliebre bellezza senese che abita il mondo intermedio tra il reale e l’immaginario, fra il netto e il vago: una semiddìa quotidiana, dall’appiccatura dei capelli che pareva dipinta al sommo della fronte.
China sul chioccolìo dell’acqua cascante, ella consegnò all’artista quell’immagine di nutrizione e accoglienza, nonché di refrigerio susseguente all’arsione passionata, alla lotta e all’ansietà, che andava cercando e che per lui della festa del Palio era l’icona.
Così sul Cencio finito, contro lo sfondo asciutto delle crete e sotto la tutela del cielo di Provenzano, si sarebbe vista una giovane donna inchinata a una fonte, nella cui nicchia figuravano incastonate delle vivide capocchie coi colori delle dieci contrade: emblemi sulla sorgente della vita.
Testo: Andrea Laiolo
Illustrazione: Riccardo Manganelli
Andrea Laiolo nasce ad Asti nel 1971. Si laurea con una tesi sulla valenza scenica del verso alfieriano, vincitrice del Premio Alfieri nel 1999. La sua prima silloge poetica è del 2004, seguita da altre, le ultime delle quali sono Aurea Ora (Bertoni 2021) e Nella schiusa rosa dei venti (Controluna, 2023) che contiene anche testi di Mario Marchisio e Bartolomeo Smaldone; ha inoltre pubblicato testi teatrali e vari interventi saggistici. Del 2022 è I figli del mattino (Readaction Editrice), raccolta di racconti ispirati agli antichi pittori della Scuola Senese e alle loro opere: il più recente pannello appartenente a un lavoro letterario che ha avuto fin dall’inizio la città del Palio tra i suoi principali oggetti, e già sfociato in una raccolta poetica interamente dedicata: La città della Festa, Achille & La Tartaruga, 2016)