Salvare la memoria storica dell’unico panopticon benthamiano ancora esistente in italia (l’edificio del reparto Conolly nell’ex ospedale psichiatrico di San Niccolò, a Siena). Ma anche valorizzarlo come un pezzo necessario della storia della nostra città. Sienanews ha sostenuto la causa qualche anno fa, facendo conoscere ai propri lettori la storia e le ombre di un pezzo di storia di Siena. E qualche anno fa, il censimento nazionale FAI per il “Luoghi del cuore” aveva dato ragione alla volontà di tantissimi senesi – e non soltanto – che avevano aderito al nostro appello. Oggi c’è una nuova opportunità, cogliamola! Possiamo farcela, insieme. Possiamo ridare vita a un tassello fondamentale della storia senese. Godetevi intanto qualche frammento raccontato dai professionisti che nel padiglione hanno lavorato, gli psichiatri Costante Vasconetto e Andrea Friscelli.
I manicomi hanno per tanti anni svolto una funzione di grande deposito delle imperfezioni, delle cose ormai vetuste e inservibili, di quelle strane e paurose. Insomma una enorme discarica delle scorie umane da cui la società ha avuto bisogno di difendersi, di distinguersi, di allontanarsi. Seguire il flusso dei ricoveri e delle classi sociali che sono state principalmente interessate da questo fenomeno è come fare l’elenco dei fallimenti: il sistema mezzadrile, i profughi di varia etnia, i reduci delle varie guerre, gli accattoni e tanti altri all’ordine del giorno del periodo storico interessato. Ma come in ogni discarica si trovano oggetti perfettamente funzionanti, gettati via per non essersi accorti che ancora erano efficienti o a volte oggetti preziosi capitati lì per caso, così anche nel manicomio spesso si rintracciano storie diverse, persone che per censo o per cultura sembrano capitate lì per sbaglio. Va detto che insieme a veri e propri “sbagli” spesso ci sono casi che sono al limite, cioè in bilico tra normalità e qualche patologia ma che certo di una lunga degenza manicomiale non potevano giovarsi. Credo che il caso di Giovanni Roy sia uno di questi dove cioè il genio e la follia si intrecciano in un modo indissolubile, ma dove il tentativo di cura crea spesso conflitti ancora maggiori della precedente condizione.
Ricapitolo brevemente quella storia: Giovanni Roy, pittore ed intellettuale di stampo mitteleuropeo, giramondo e perpetuamente alla ricerca di lavoro e di ambienti dove sviluppare il suo talento, capita a Siena nei primi mesi del 1911 e imprevedibilmente incappa in un ricovero al San Niccolò per certe sue intemperanze caratteriali che lo mettono in contrasto con l’ambiente cittadino, senza tuttavia che abbia compiuto fatti eclatanti. Il ricovero si risolve rapidamente forse anche per questo, per non averlo trovato cioè affetto da gravi patologie e per l’assistenza della moglie che perora la sua causa nelle giuste sedi. Una faccenda che si risolve in un paio di mesi e che, sia pure spiacevole, poteva essere rapidamente scordata, passando ad altro. Invece l’episodio lascia una ferita insanabile dentro di lui che passerà il resto della vita a cercare di cancellare questa che viveva come una macchia sul suo onore. Probabilmente il non essere pienamente riuscito in questo intento motiva anche il gesto estremo con cui pose fine alla sua vita.
Questa vicenda con vari altri aspetti collaterali è stata oggetto di una pubblicazione intitolata: “Roy – il pittore che odiò Siena – un’altra storia del San Niccolò” uscita nel 2018 per i tipi della Betti Editrice ed a cui le illustrazioni di Riccardo Manganelli hanno dato un taglio inedito di graphic novel.
Per altre storie è capitato che si siano fatti vivi i parenti, per questa devo dire che, per la sensazione di un dialogo ancora non completato, di una comprensione ancora parziale, sono stato io che ho continuato a cercare le sue tracce, in parte inseguendo i suoi quadri e la loro collocazione, in parte attraverso la ricerca di scritti che lo riguardassero.
Il senso di questo pezzo è proprio quello di dare conto di queste ulteriori ricerche.
Il pezzo forte di questa ricerca è consistito nel trovare una bella pubblicazione incentrata specialmente sulla moglie di Roy, Giannetta Ugatti, ma in cui si parla diffusamente anche di Giovanni Roy. La figura di Giannetta ne esce come quella di una delle prime intellettuali interessate alla scrittura ed ai temi sociali in difesa dei diritti della donna. Suo marito l’ha spesso dipinta, forse il suo ritratto più bello è quello che costituisce la copertina del libro trovato e che porta il titolo de: “La Dame aux plumes ”.
C’è stato uno scambio di mail con l’autore di quella pubblicazione, Renato Scarpi, ed ho potuto così sapere che non esistono più eredi del pittore. La figlia se n’è andata nel 1989 senza essersi ne’ sposata ne’ aver lasciato eredi. Ma i racconti che la figlia, ormai vecchia, fa del padre ci confermano alcuni tratti caratteriali dell’uomo. Che era impulsivo, narcisista ma, per sua fortuna, con un rapporto sano e forte con la moglie. Inoltre, ci fanno conoscere meglio le idee di Roy sull’arte di quei tempi e sui movimenti che esistevano. Per esempio, si oppose fortemente al Futurismo. Quel movimento, tra l’altro, firmò un manifesto il cui titolo era “Uccidiamo il chiaro di Luna”. Bene Roy insieme ad altri ne fondò un altro che si chiamava all’opposto proprio “Chiaro di Luna”. Il movimento aveva una sua rivista che portava lo stesso nome ed ospita in uno dei suoi primi numeri un articolo di Roy che si potrebbe definire di filosofia estetica. Il futurismo è accusato da Roy di essere un bolscevismo estetico, frutto cioè delle idee di pochi che si credono élite ma che offendono, a suo parere, la naturalità della percezione. In questo pezzo prende un po’ a male parole, in nome della naturalità, quasi tutte le avanguardie di quel tempo oltre al Futurismo stesso. Questo suo schierarsi sempre con il passato mi fa pensare al conflitto con il padre, dal quale vuole differenziarsi da un lato, ma dai cui giudizi e insegnamenti dall’altro non pare riuscire a distaccarsi (anche Pietro Roi fu pittore di ottimo livello che fece più strada di lui). Inoltre sappiamo adesso che diverse sue opere sono collocate a Ferrara, dove terminò la sua esistenza, in ambienti pubblici o in private collezioni e prima o poi le visiteremo
Intrattenere una sorta di dialogo e di conoscenza più profonda con Giovanni Roy è stato per me qualcosa di appassionante, simile per certi aspetti a una indagine poliziesca in cui piano piano dai dettagli più incerti si riesce a costruire un ritratto a tutto tondo. Un lavoro di archivio, ma non solo, molto interessante e coinvolgente.
Questo mi porta, anche se Roy, per sua fortuna, non ha mai avuto a che fare con il quartiere dei “clamorosi”, a parlare di nuovo del Conolly e delle sue vicende. Perché?
Sognando un suo completo recupero e prossimo utilizzo si discute, per ora solo tra i pochi interessati, sulle varie ipotesi da sostenere e da vagliare, ma c’è un aspetto su cui c’è un generale accordo. E cioè che lì dentro debba essere collocato l’archivio storico del San Niccolò che troverebbe la sua più naturale sede per spazi e facilità di accesso. Quella collocazione poi unirebbe idealmente il grande passato del San Niccolò con il presente della ricerca fatta da studiosi ed il futuro di un utilizzo anche ludico e culturale. Ma chi – si chiederà con qualche scetticismo – può essere interessato a quell’archivio? Studiosi, ricercatori di vario stampo e natura, chi, per esempio, come il sottoscritto è affascinato dalle storie, trova lì una vera e propria miniera di racconti e personaggi, ma l’archivio, come ogni deposito culturale, può essere la base di studi di altro tipo, statistico, sociale, storico e altro. Basterebbe sistemarlo (molto è già stato fatto) e farlo funzionare, come per qualche mese è successo negli anni scorsi. Attualmente non è impossibile accedervi, ma è complicato farlo. Non trascurerei inoltre le frequenti richieste dei parenti (ne arriva qualcuna anche al sottoscritto, che può fare poco) che sentono spesso l’esigenza di recuperare storie di congiunti che sono stati ricoverati al manicomio, per riannodare fili pendenti da tanto tempo. Insomma lì è custodito un giacimento culturale di storie recenti che non possiamo trascurare o perdere. Se adeguatamente valorizzato io sono convinto che potrebbe diventare un polo di grande interesse diverso da quelli a Siena più noti e in qualche misura giovare all’intera città.
E allora perché la città non si mobilita a sua difesa? Perché non vota per il Conolly nell’attuale gara dei luoghi storici della Salute, cosa che per ora non ha fatto? e poi più in generale perché non spinge sulle autorità affinché sia completamente restaurato? e perché non si comincia a ragionare su un suo utilizzo futuro?
E’ incredibile come quel luogo sia iper saturo di tematiche attualissime e forse solo pochi lo intuiscano. Quali? Il controllo e la gestione della privacy (panopticon quello antico e questo moderno, detto anche Grande Fratello), la pandemia nella sua versione storica che a Siena vuol dire la peste del 1348 ed in quella di oggi che disgraziatamente vuol dire Covid, oppure l’accoglienza dei “diversi” intesi come i malati mentali ma attualmente intesi anche come gli extra comunitari, oggi visti come i portatori di pesti di vario tipo, e poi la gestione della violenza e della pena (non scordiamoci Porta Giustizia e la sua funzione).
Troppo lungo in questa sede sviluppare tutte queste narrazioni ma ognuno di questi temi trova nel Conolly e più in generale nell’area del vecchio manicomio precisi riferimenti e spunti di riflessione.
Non dobbiamo, come stiamo rischiando, perdere tutto questo!
Andrea Friscelli
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