La Ue del futuro secondo Draghi, Montini: “Nel suo piano c’è la nuova geopolitica comunitaria”

Mario Draghi “immagina una nuova geopolitica dell’Unione Europea, che si concentra sulle esigenze economiche e industriali comunitarie”.

Massimiliano Montini, delegato del rettore dell’Università di Siena alla cittadinanza europea nonché responsabile scientifico del centro Europe Direct di Siena, legge così il piano che l’ex-premier ha presentato qualche giorno fa e che dovrebbe rilanciare il vecchio continente.

Draghi ha svelato il suo rapporto che è figlio di un anno di lavoro. E quando ha illustrato il documento ha chiesto all’Unione di agire per “evitare una lenta agonia”. Quale è dunque lo statuto attuale della Ue?

“Quella dell’ex-premier è un’impostazione precisa sia su un piano economico che industriale. I suoi toni sono stati molto forti. Ha detto che siamo di fronte ad una sfida esistenziale e che non si può continuare con le politiche tradizionali. Il sistema geopolitico è cambiato totalmente negli ultimi anni, dopo la pandemia e i vari conflitti. La globalizzazione è rallentata ed il commercio internazionale è cambiato fortemente. Ed ecco perché Draghi chiede una politica più integrata, ma che sia capace di rafforzare la competitività delle imprese e rinnovare le policies industriale ed energetica”.

Innovazione, energia, ambiente e difesa sono gli asset portanti..

“Il suo rapporto è articolato su tre assi: in primis c’è l’innovazione che si deve legare ad una politica industriale. Il paragone di Mario Draghi viene fatto con gli Usa: lì continuano ad evolversi compagnie con capitalizzazioni molto forti, che partono dal nulla e si sviluppano. C’è poi la questione dell’accesso ai finanziamenti: serve un’organizzazione ed un coordinamento a livello europeo. Ed è l’idea di Draghi: non bastano le iniziative singole di stati membri perché da soli non hanno una forza sufficiente. Poi c’è la decarbonizzazione: è un imperativo che deve essere perseguito e connesso anche questo ad una politica industriale. Se non lo fosse allora saremmo meno competitivi. Infine c’è la sicurezza: la Ue deve capire come gestire una politica economica sulla base degli accordi commerciali che intrattiene con altri Paesi”.

Nel rapporto si ipotizzano 800 miliardi annui per l’investimento del “new deal” comunitario. Adesso, come logico ci si chiede dove reperire le risorse. E c’è chi teme che questi fondi possano essere prelevati dalle tasche dei cittadini…

“Per l’ex-presidente del consigli o servirà un 4% – 5% del Pil per portare avanti questo nuovo piano Marshall. Sono cifre enormi per cui Draghi ha fatto capire che vanno riorganizzati meglio gli investimenti nel Vecchio Continente. Certi investimenti in innovazione e ricerca sono delegati ai singoli stati membri e alla fine vanno dispersi. Solo una minima parte di questi sono gestiti a livello centrale. Draghi ha poi ricordato che servono priorità comunitarie più forti, capaci di far scaturire processi di finanziamento. Lui pensa ad un’iniezione iniziale di soldi pubblici che poi diventa complementare ad investimenti privati”.

Ed infine c’è la propensione al superamento del potere di veto dei singoli Paesi..

“Questa è l’ultima parte del rapporto ed è quella in cui si cerca di capire come poter migliorare la governance. Il tema introdotto è già molto discusso ed è quello secondo cui l’attuale architettura istituzionale della Ue non è più sufficiente a dare risposte immediate ed univoche verso le varie crisi. Ecco perché si vuole superare l’unanimità. Lo si potrebbe fare con una revisione dei trattati ma potrebbero esserci tempi lunghi perché servirebbe appunto l’unanimità per approvarla. Ci sono però alcuni meccanismi che prevedono la possibilità di passare dall’unanimità alla semplice maggioranza per alcune materie oppure accordi che permettono ad alcuni stati di avere politiche più avanzate, in una logica di Europa a due velocità. Sono soluzioni accennate da Draghi ma non sono semplicissime. Per cui è necessario che la nuova commissione europea si concentri su questo”.

MC