Dal sopraluce della porta chiusa filtrava un tiepido lume di vicolo e di luna insieme, nello spazio segreto dove un uomo e un cavallo stavano l’uno in prossimità dell’altro.
L’uomo dormiva in sottesa vigilanza; il cavallo, che si chiamava Liliom, pensava:La stalla – loro la chiamano ancora così – questa notte mi sembra divenuta più grande: forse per il fatto che al terzo giorno mi ci sono tanto accostumato che ci sto come all’aperto. Le altre volte fu uguale? Non mi pare di rammentarmene; neanche le corse le ricordo bene: ne ho fatte così tante – come tutti i cavalli fortunati –, nelle distese vuote o in mezzo agli umani acclamanti, che non le distinguo più, anche se cambia il modo di correre, dall’uno all’altro caso.
Dai loro discorsi comprendo che quando si sarà fatto giorno correremo le ultime, per questa volta, di quelle che si fanno là, nel campo affollato che loro chiamano il Campo.
Non ho ancora scoperto perché si esprimono come se ne esistesse uno solo, o uno – quello – fosse più campo degli altri; penso dipenda dal fatto che sono umani: per un cavalo il campo è ovunque egli abbatta gli zoccoli. Però qualcosa che distingue il campo di questi giorni da tutti gli altri c’è, a ben considerare, e c’è stato tutte le volte che i giorni come questi sono ritornati nella mia esistenza: ed è la forza che mi sento dentro, la mano misteriosa che mi sprona, appena quella grossa corda cade a terra, e la bellezza che mi accompagna per tutto il tempo della corsa.
La forza non è solo quella delle mie zampe, la mano non è quella del cavaliere che chiamano fantino e la bellezza è la parola che non conosco, che sento usare dagli umani, il cui senso mi si è schiarito soltanto dal momento in cui ho cominciato a galoppare proprio su questo campo. Sono più cose, in realtà; ma sento, da bestia, che sono poi tutte la stessa; forza, mano e bellezza: una cosa; e se dovessi usare una sola di queste parole per nominare la cosa unica che insieme significano, ebbene, per istinto – istinto animale – sceglierei bellezza.
Testo: Andrea Laiolo
Illustrazione: Riccardo Manganelli
Andrea Laiolo nasce ad Asti nel 1971. Si laurea con una tesi sulla valenza scenica del verso alfieriano, vincitrice del Premio Alfieri nel 1999. La sua prima silloge poetica è del 2004, seguita da altre, le ultime delle quali sono Aurea Ora (Bertoni 2021) e Nella schiusa rosa dei venti (Controluna, 2023) che contiene anche testi di Mario Marchisio e Bartolomeo Smaldone; ha inoltre pubblicato testi teatrali e vari interventi saggistici. Del 2022 è I figli del mattino (Readaction Editrice), raccolta di racconti ispirati agli antichi pittori della Scuola Senese e alle loro opere: il più recente pannello appartenente a un lavoro letterario che ha avuto fin dall’inizio la città del Palio tra i suoi principali oggetti, e già sfociato in una raccolta poetica interamente dedicata: La città della Festa, Achille & La Tartaruga, 2016).