Una Docg toscana meno conosciuta e di recente acquisizione (nel 2011) è il Suvereto. La zona di produzione si trova nel comune di Suvereto, nella Maremma livornese ai confini con Grosseto. Anche quest’area vanta una tradizione vitivinicola secolare, passata dagli Etruschi ai Romani e giunta attraverso il Medioevo fino ai nostri tempi.
Nel XIV secolo fu la famiglia Della Gherardesca, proprietaria feudale dei terreni da Cecina fino a Follonica, a dare un ulteriore impulso alla diffusione dell’attività vitivinicola a Suvereto. Nel XVII secolo poi, i latifondi vennero frammentati per divisioni di eredità e fallimenti. Questo portò ad un’evoluzione della coltivazione, tanto che nel 1830, grazie alle prime bonifiche, si estese la superfice coltivazione della vigna e dell’olivo. Al tempo dei mezzadri, il vino veniva utilizzato per il consumo dei proprietari e in parte venduto in botti. I primi riconoscimenti arrivarono nel 1886 con la partecipazione di cinque produttori di Suvereto all’Esposizione Mondiale di Roma. Ed è solo dal secondo dopoguerra che i produttori di Suvereto avviarono il percorso di valorizzazione dei vini, che vide nel 2000 il riconoscimento della Doc Suvereto come sottozona del “Val di Cornia” e successivamente nel 2011 della Docg Suvereto. Si tratta di una denominazione che guarda un po’ allo stile francese, con una sua completa reinterpretazione, in quanto i vitigni principali sono Cabernet Sauvignon, Merlot e Sangiovese.
Si può trovare la tipologia con il blend Cabernet Sauvignon e Merlot, oppure la tipologia con un solo vitigno, ad es. solo Sangiovese, al quale può essere assemblato anche un 15% di altre uve a bacca nera, provenienti da altri vitigni idonei alla coltivazione per la regione Toscana.
Il vino viene affinato per 24 mesi di cui 18 in legno di rovere. Dal colore rosso rubino intenso, il Suvereto ha aromi tipici di frutti a bacca rossa come ciliegia e mora, ma anche prugna o fichi secchi. Va servito alla temperatura di 16/18° e si sposa perfettamente con le carni rosse, arrosti, grigliate, selvaggina e cacciagione.
Stefania Tacconi