“Le Particole sono incorrotte, significato di un prodigio nella conservazione del tempo che è un segno che il Signore ci ha lasciato per ricordarci che Lui non ci lascia mai. Cristo è sempre presente ma così ci ricorda in modo più forte che questa presenza non passerà mai nel tempo. È un segno indelebile del fatto che Dio non ci abbandona mai in ogni situazione della vita: gioia, dolore, malattia, dolore dovuto ad altre persone. Non siamo soli. Che la nostra anima e fede siano incorruttibili come le particole”. Così il cardinale Lojudice durante l’omelia nella basilica di San Francesco dove è stata celebrata la messa per celebrare l’anniversario, con i frati minori conventuali della basilica di San Francesco.
Il 17 agosto 1730, esattamente 291 anni fa, durante la celebrazione della Messa vengono ritrovate nella Insigne Collegiata di Santa Maria in Provenzano le ostie consacrate che tre giorni prima erano state trafugate dalla Basilica di San Francesco mettendo in stato di prostrazione e agitazione l’intera città per il sacrilegio compiuto. La storia è nota ma uno dei manoscritti conservati nell’Archivio di Santa Maria in Provenzano ci descrive in modo particolareggiato i fatti avvenuti quel giorno: “Piacque pertanto a Dio consolare la comune tristezza il 17 giorno d’Agosto in un modo che ha del miracoloso. Circa le ore 13 (ricordiamo che nel computo delle ore del tempo siamo , circa, alle 9 del mattino, n.d.r.) di tal giorno come è solito nella Chiesa dell’Insigne Collegiata di Nostra Vergine in Provenzano un chierico d’anni 15 in circa girava nella chiesa a cercare le elemosine dalli assistenti alla Messa che si celebrava all’altare della Santissima Annunziata, quando giunta l’elevazione della Sacra Ostia il Chierico (altre attestazioni riportano il nome di Paolo Schiavi di Castemuzio, n.d.r.) si genuflesse presso alla cassetta fissa che sta dalla parte di Sagrestia, quando affrontò a guardare quella apertura, dove si posa il denaro, e vidde più particole colà dentro. Corse tosto in sagrestia a significare ciò che veduto aveva, venne il Sagrestano (altre fonti ci danno il nome del Reverendo Girolamo Bozzegoli, sacrista della Collegiata, n.d.r.) e certificato della verità senza fare alcun motivo fece noto a Monsignor Arcivescovo ed al Primo inquisitore il fatto. Il che inteso venne il detto Primo Inquisitore, il Signor Vicario generale, ed altri, che vi avevano parte, e giunti in Provenzano fecero serrare la Chiesa. Portato un tavolino con sedie si fece un minuto processo con tutte le ricognizioni possibili alla presenza di quattro testimoni (…). Finalmente si aprì la cassetta e si vidde un gran numero di particole molte delle quali erano restate pendenti tra i ragnetti essendo 18 mesi che non si era aperta. A tal fatto si fece allegrezza e si mosse a tenerezza insieme quella gente che assisteva a la funzione. (…) Si confrontarono colla forma e con altre particole non consacrate che portate aveva il (…) Sagrestano da S. Francesco, si concluse essere le medesime onde si venne all’estrazione che per mano del sagrestano di questa nostra Chiesa furono alta voce numerate. (…) il numero a 446 (in realtà erano 351, a meno che il nostro redattore non abbia computato quelle consacrate eritrovate e quelle portate dai Padri Francescani per il confronto, n.d.r.), con gli altri pezzi, doppo furono le Sacre Particole messe in altra pisside della Chiesa di Provenzano e portate nel tabernacolo dell’Altar Maggiore, dove tutti i circostanti genuflessi rendevano grazie a Dio per tal ritrovamento miracoloso. Di poi il predetto Sig. Preposto (….) uscì dalla Sagrestia ed intonò in Te Deum: e finito questo si terminò colla sua orazione. Si partì il Popolo che molto era intervenuto alla Sacra funzione appieno contento e consolato. Nel quale stato di cose parve bene a Superiori mostrare allegrezza con qualche segno straordinario e si determinò col saggio consiglio del nostro Pastore Monsignor Zondadari tutto giubbilo per l’allegrezza, il giorno di poi fare una solenne traslazione del SS. Sacramento alla chiesa di San Francesco”. Un resoconto inedito degli avvenimenti raccontato da chi c’era o, comunque, da chi visse da vicino i fatti ci ricorda un evento che oggi è accettato dalla Chiesa Cattolica come “Miracolo Eucaristico” dato che, come dimostrano le molte analisi fatte fare nei secoli (l’ultima ricognizione è del 2014 con strumenti altamente scientifici), le ostie fatte di materiale organico, e come ogni materiale organico se non si consumano si guastano, restano incontaminate da quell’agosto del 1730. Non c’è spiegazione scientifica, dunque, ma da allora le Sacre Particole sono lì a far mostra di un fatto inspiegabile, che per chi crede è spiegabilissimo: è un miracolo. Semplicemente.
Dovette essere un 16 agosto che i senesi ricordarono a lungo anche quello del 1730. Un altro 16 agosto in cui non si corse il Palio (alla tonda, in Piazza del Campo). Che cosa era successo di tanto sconvolgente? Il pomeriggio del 14 agosto, probabilmente fra le cinque e le sei, quando la chiesa di San Francesco era vuota dato che i frati erano tutti al Duomo, insieme al clero cittadino e alla quasi totalità della popolazione. Era, infatti, la vigilia dell’Assunta e tutta la città si recava a rendere omaggio alla protettrice di Siena e partecipava alle funzioni e ai riti di omaggio che duravano parecchi giorni. I ladri ebbero, dunque vita facile: si introdussero nella cappella di Sant’Antonio, forzarono il ciborio e portarono via la preziosa pisside d’argento con tutte le particole consacrate che esso conteneva, pronte per il rito della comunione per la messa del successivo giorno di festa.
Sul momento nessuno se ne accorse fino a quando, il giorno successivo, quando il sacerdote che salì all’altare per celebrare la messa trovò il ciborio vuoto. Le cronache ci raccontano che la notizia del furto sacrilego fece immediatamente il giro della città e suscitò scalpore e sdegno e impressione. Mentre i gendarmi si sguinzagliavano a cercare indizi dei ladri, l’Arcivescovo, Alessandro Zondadari, indisse solenni cerimonie di riparazione, e in segno di pubblica contrizione per l’accaduto il Capitano di Giustizia, Orlando Pescetti, fece cancellare la rappresentazione teatrale della commedia pastorale che si sarebbe dovuta tenere la sera dell’Assunta nei locali dell’Accademia dei Rozzi. E il palio? Si tenne, come racconta nelle sue cronache Girolamo Macchi, quello alla lunga del 15 agosto (del resto il furto era stato scoperto tardi, i barberi con le maestranze dei grandi signori erano giunti a Siena da tutta Italia, impossibile annullarlo) ma i registri ufficiali del Comune tacciono sullo svolgimento del Palio del 16 agosto, quella ricorsa che, dato che aveva vinto a luglio, “spettava” (era uso, non regola) riorganizzare il mese successivo. Inoltre nessuna Contrada, neppure quella che fosse risultata ipoteticamente vittoriosa, si è mai attribuita la conquista del drappellone, conservato dalla Contrada della Giraffa e che riporta chiaramente la data “1730” e l’iconografia dei drappelloni dei palii alla tonda (l’albero alla base ricorda l’iconografia della Selva, tra l’altro). Perché lo conserva la Giraffa? Si pensa che essendo state ritrovate le Sacre Particole nella Collegiata di Provenzano (ma questa storia ve la racconto domani) cioè nel territorio della Giraffa, proprio a questa Contrada stato consegnato il drappellone già dipinto per conservarlo, oppure, dicono altri, venne offerto proprio alla Madonna di Provenzano in segno di ringraziamento e poi, in qualche epoca, passato nel museo della Contrada.