Ludovico Troncanetti, classe 1991, senese, fa parte di quel vivaio di eccellenze nostrane che, con passione e talento, stanno conquistando il mondo. Ha la musica nel sangue e nelle parole, lo si sente quando parla del suo percorso artistico passato, quando racconta i suoi imminenti progetti e quando ragiona sul futuro.
L’8 novembre, il pianista senese si esibirà al teatro dei Rinnovati in un concerto il cui ricavato verrà devoluto alla Lilt. “Per l’occasione, sarò accompagnato dall’orchestra ‘I musici del gran principe’, la quale esegue principalmente un repertorio di nicchia, specializzata in un’esecuzione storicamente informata (prevalentemente ‘700), suonando strumenti d’epoca. Anche il pianoforte che suonerò io è un pezzo raro, uno Steinway del 1890 restaurato da Checcacci e offerto dallo stesso in occasione del concerto”.
La storia d’amore tra Ludovico Troncanetti e il pianoforte, inizia nella sua prima adolescenza: “Ho iniziato a 13 anni, un po’ per caso. Mio cugino ava una pianola, ho cominciato a suonare i tasti e da lì è iniziato tutto: alcune cose succedono e basta. Prima ho studiato da autodidatta e poi al conservatorio Franci: dopo ho diviso gli studi tra Milano, Londra e Lisbona, ho studiato con Leslie Howard e mi sono diplomato a Milano in composizione”.
Un curriculum ricco e variegato quello del musicista, pagine di vita che Ludovico ha deciso di scrivere in musica, prendendo spunti da culture e paesi diversi. “Piano, piano, sto girando il mondo. Ho scelto la gavetta e, mantenendo sempre un profilo basso, devo dire che sta andando bene. Ovviamente la mia base è in Italia, ma sempre di rimbalzo perché prevalentemente sono all’estero”.
Tra i luoghi del cuore del pianista senese, Londra, dove Ludovico Troncanetti ha avuto un incontro che ha segnato la sua carriera. “Parlando dei miei studi, ho citato Leslie Howard. Con lui, adesso, formiamo un duo stabile, sia a due pianoforti che a quattro mani. Howard è noto a livello internazionale per aver inciso tutta la musica pianistica di Franz Liszt. In Italia, sopratutto a Firenze, con Pier Narciso Masi”.
La musica, il pianoforte, lo studio intenso e piccoli sacrifici. Un percorso di vita che Ludovico ha sempre intrapreso con una grande forza di volontà . “Ho dovuto fare delle rinunce, ma fino a un certo punto. Prima della disciplina, devi divertirti. Altrimenti non fai nulla. Alla base ci deve essere la passione e ti deve piacere ciò che fai e quello che suoni: poi ovviamente capita anche di dover suonare anche cose che non ci piacciono del tutto. Non ci devono essere pressioni. Ho scelto consapevolmente e magari un po’ inconsciamente”.
Quella giusta dose di incoscienza che ha portato Ludovico Troncanetti a debuttate a San Pietroburgo , accompagnato dall’orchestra St Petersburg Northern Sinfonia. Poi, un bel viaggio tra le note di Anton Rubinstein, prolifico compositore e pianista russo della seconda metà del 1800 che ebbe successo in tutto il mondo. “Ho inciso un disco che mi sta andando bene: è apparso anche sulla rivista Amadeus, lo scorso 10 ottobre. Nel disco eseguo le Sonate per Pianoforte di Anton Rubinstein, brani che ho suonato anche per la Lilt, per altro. Piano, piano, mi stanno chiamando in giro per suonarlo, sopratutto all’estero”.
Cittadino del mondo, Troncanetti ha un’idea ben precisa delle differenze in campo musicale e culturale che esistono tra l’Italia ed i paesi esteri.
“Purtroppo, secondo me, è la cultura di base che manca. In Germania ti mettono accanto uno strumento già in età scolare, mentre in Italia vengono valorizzate altre cose. Ti viene naturale scegliere e interessarti alla musica. Qui c’è meno interesse e viene percepita la musica classica in maniera diversa, come l’arte in generale: andare a teatro, ad esempio, è più una moda che una vera e propria curiosità . In più, la burocrazia fa la sua parte. Per organizzare le cose, da un concerto ad un’esibizione più ridotta, ci vuole veramente tanto”.
Lo stesso vale per il mestieri che il pianista senese si è scelto: “Anche la percezione del lavoro del pianista è strana. Non si capisce l’impegno e lo studio che c’è dietro, viene pensato come se non fosse un lavoro vero e proprio. All’estero ho conosciuto poeti che vivono di questo, con le loro poesie. In Italia sarebbe difficile, se non impossibile. In questo settore, come in molto altri, c’è tanta immagine, che non guasta, ma è quasi una percezione più da show man che da musicisti”.
Come per ogni artista, anche il sentimento musicale di un pianista può mutare nel tempo, evolvendosi a seconda del periodo che si vive o delle esperienze fatte. “Lo si vede nel modo di suonare un singolo pezzo che cambia nel tempo e nella scelta del repertorio che varia. Lo stesso pezzo, suonato in due momenti diversi, assume anche diverse sfumature. Per quanto riguarda il repertorio, personalmente preferisco creare il giusto compromesso tra cose più ‘inflazionate’, che funzionano e che piacciono al pubblico, ma aggiungere anche qualcosa di più ricercato, che mi faccia distinguere e che rispecchi il mio gusto. Fare carriera non vuol dire fare successo e fare successo non vuol dire fare carriera. Il talento è l’ultima cosa che guardano gli spettatori: bisogna avere fiuto ed una percezione concreta del fruitore, non si suona solo per sé stessi. La gente deve divertirsi”.
Arianna Falchi