Il 24 agosto 1313, un venerdì, muore a Buonconvento l’imperatore Enrico VII di Lussemburgo (o Arrigo VII, come comunemente è conosciuto). Conte di Lussemburgo, era nato a Valenciennes nel 1275 ed era diventato re di Germania nel 1308, prima di essere incoronato imperatore nel 1312. Aveva cercato di rafforzare la causa imperiale in Italia, ma si era dovuto scontrare con l’ostilità del re di Francia e, quasi subito, con quella di Roberto d’Angiò re di Napoli. Lo stesso papa, Clemente V, che lo aveva inizialmente appoggiato in cambio della promessa di tutelare i diritti della Chiesa e i privilegi delle città sottomesse al pontefice, oltre che dell’impegno a promuovere la crociata, aveva finito poi per osteggiarlo. Nell’ottobre 1310 Enrico era disceso in Italia per entrare a Roma e celebrare lì la legittimazione della sua dignità di imperatore, in mezzo al tripudio dei ghibellini e di chi, pur guelfo, come Dante Alighieri, sognava la restaurazione delle istituzioni imperiali. Contro di lui, però, si coalizzò il fronte delle città guelfe e la sua discesa lungo la Penisola si trasformò in una logorante guerra di assedi contro una città dopo l’altra. A Roma Enrico VII era arrivato a maggio e il 29 giugno 1312 tre cardinali di fede ghibellina lo avevano incoronato, ma dopo poco la situazione italiana si era fatta talmente incandescente da convincere Enrico a lasciare Roma e a risalire in Toscana. Qui, a parte la fedelissima e ghibellinissima Pisa dove era arrivato nel marzo del 1313, il sovrano aveva dovuto scontrarsi con l’accanita resistenza di Firenze, prima, e della ormai guelfa Siena subito dopo. Proprio all’assedio di Siena si era manifestata in tutta la sua virulenza la malaria che Enrico aveva contratto, tanto che, a metà di agosto, gli imperiali avevano tolto il campo e preso la strada per i Bagni di Macereto dove contavano di far riposare il sovrano. Il 24 agosto, però, Enrico morì durante la tappa a Buonconvento. Si disse che era stato avvelenato da un frate (e questo costò a Buonconvento il blasone popolare di “Buon – Convento di cattivi frati”), ma, in realtà, la storia dell’avvelenamento è pura leggenda. Per i suoi seguaci si trattava, ora, di trovare il modo di portare la salma del re alla sepoltura, attraverso Pisa: cosa non facile soprattutto sotto il sole d’Estate. Così, come era uso, il cadavere fu eviscerato e le interiora furono sepolte sotto l’altare di Sant’Antonio nella chiesa di San Pietro, a Buonconvento, dove restarono fino a tutto il XVIII secolo. Ma non bastava. Presa la strada di Maremma, l’esercito, ormai trasformato in un corteo funebre, transitò da Paganico e all’altezza di Suvereto si vide costretto a procedere ad un ulteriore trattamento sul cadavere. Ancora una volta in base ad un uso estremamente comune per i corpi dei sovrani, la salma di Enrico fu bollita e ne furono prelevate solo le ossa scarnificate, le quali furono portate a Pisa dove furono sepolte. Dalla città toscana, secondo le intenzioni, avrebbero dovuto raggiungere le terre imperiali del Nord, ma i resti dell’imperatore non si mossero da lì. Una raffinata tomba, opera del celebre scultore senese Tino di Camaino, elaborata nel 1315 e poi, nel corso dei secoli, sottoposta ad innumerevoli traversie, smembramenti e parziali distruzioni, si incaricò di ricordare al mondo la fine del sogno di ricostituire il potere imperiale sulle terre d’Italia.
Maura Martellucci
Roberto Cresti
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