Sabato 19 agosto alle 21.15, nel Salone dei concerti di Palazzo Chigi Saracini, per il Chigiana International Festival, il recital dell’oboista Christian Schmitt, accompagnato al pianoforte da Alessandra Gentile, offre l’occasione d’ascoltare alcune delle pagine più rare e preziose della letteratura cameristica per oboe e trascritta per questo strumento, con l’accompagnamento del pianoforte.
Il programma spazierà dal Settecento di J. S. Bach e C.P.E. Bach al Romanticismo di Felix Mendelssohn, approdando al XX secolo di Leone Sinigaglia (Torino 1868 – ivi 1944), Luciano Berio (Imperia, 1925 – Roma, 2003) e Antal Doráti (Budapest, 1906 – Gerzensee, 1988). Si arriva quindi alla musica del nostro tempo con la prima esecuzione italiana della composizione di Jacopo Baboni Schilingi (Milano, 1971) Spatio intermisso (temporis), del 2005, per oboe ed elettronica, con la partecipazione dello stesso compositore ai live elettronics; una riflessione sul ruolo della musica nella contemporaneità e sulle implicazioni dell’estensione musicale nel tempo e nello spazio, della “scrittura non della superficie dei suoni, ma della profondità sotto forma di note, di quella che si chiama musica”, secondo le parole del compositore.
L’intero programma rivolge una particolare attenzione alla dimensione della “parola”, tema portante della IX edizione del Festival, a partire dal brano con cui il recital si apre: le 12 Variazioni su un tema di Schubert Haidenröslein op. 19 di Leone Sinigaglia, che sprigionano tutta la freschezza “campestre” del motivo d’ispirazione popolaresca originario, nato dalla penna di Schubert su parole di Goethe. Una veste musicale tagliata su misura della descrizione di una gustosa schermaglia tra un giovane, che raccoglie una rosellina selvatica e la rosa stessa che lo punge, che viene trattata dal compositore ebreo di origini torinesi, con la delicata attenzione che soleva riservare alle manifestazioni musicali della tradizione popolare.
Conosciuto specialmente per le sue composizioni di musica sinfonica, da camera e vocale, spesso ispirata a soggetti e temi tradizionali del Piemonte, Leone Sinigaglia dopo aver studiato al Liceo Musicale di Torino con G. Bolzoni, si trasferì nel 1893 a Vienna, dove fu allievo di E. Mandyczewski. Fu amico di Brahms, Mahler e soprattutto di Dvořák con cui studiò a Praga e nella villa di Vysoká, derivandone così l’interesse per il canto popolare. Rientrato in Italia, intraprese la raccolta delle canzoni piemontesi della collina di Cavoretto (ca. 500 melodie). Sinigaglia seppe comprendere i mutamenti che andavano stravolgendo il mondo, ma senza adattarvisi a seguirne il passo. Resta la sua colossale raccolta di canti piemontesi che egli armonizzò in piccola parte, e di cui fornì spesso anche versioni corali o per complessi di svariata composizione. Rispetto ai raccoglitori di canzoni popolari del sec. XIX l’opera di Sinigaglia si distingue per l’assoluto rigore filologico, la disponibilità ad accettare i canti così come la tradizione li tramandava, senza stravolgerne le forme. Ricercato in quanto ebreo a seguito delle leggi razziali, morì tragicamente all’Ospedale Mauriziano di Torino per un arresto cardiaco sopravvenuto mentre stava per essere arrestato dalla polizia fascista.
Il programma prosegue con la composizione di Felix Mendelssohn che dà il titolo al concerto, i Lieder ohne Worte di cui viene eseguita una nutrita selezione. La romanza senza parole, dal tipico andamento di melodia accompagnata, di breve durata e senza forma prestabilita, si dimostra particolarmente abile nell’esprimere i sentimenti dell’animo umano senza ricorrere a versi e rime. Molto spesso, le “Romanze senza parole” sono l’omaggio offerto da Mendelssohn a parenti ed amici in particolari occasioni, come, ad esempio, la prima, composta nel 1828 e regalata alla sorella Fanny per il suo compleanno. Fino al 1845, Mendelsssohn ne scrive 48, pubblicate in otto raccolte di sei brani ciascuna. Le pagine sono scritte secondo lo schema ternario; a volte sono presenti brevi introduzioni, riproposte anche come coda. La struttura tecnica, proprio per la sua semplicità, lascia molto spazio all’espressione.
L’itinerario prosegue quindi sulle tracce di un mistero bachiano mai del tutto risolto; quello evocato dalla Sonata in sol min. BWV 1020, originariamente composta per violino, poi trascritta per oboe, dalla dubbia attribuzione in quanto – si congettura – possibilmente nata da un esperimento didattico collaborativo tra il padre, Johann Sebastian e il figlio, Carl Philipp Emanuel Bach.
L’approdo al XX secolo arriva sulle note di Luciano Berio, a cui il Chigiana International Festival rende omaggio quest’anno con un ampio ciclo di 30 composizioni nel ventennale della scomparsa. Come le altre Sequenze per strumenti monodici (flauto, trombone, oboe, clarinetto, tromba, fagotto), anche la Sequenza VII per oboe, scritta nel 1969 per il celebre oboista, compositore e direttore d’orchestra Heinz Holliger, propone un ascolto di tipo polifonico. In Sequenza VII Berio prosegue nella ricerca di una polifonia latente «creando una prospettiva per le complesse strutture sonore dello strumento con una “tonica” sempre presente – spiega il compositore nelle sue note: un si naturale che può essere suonato, pianissimo, da qualsiasi altro strumento dietro la scena o fra il pubblico. Si tratta di una prospettiva armonica che contribuisce a una percezione più sottile e analitica dei vari stadi di trasformazione della parte solistica».
Nato nel 1906 a Budapest, Antal Doráti, diviene a 18 anni il più giovane direttore dell’Opera Reale; recatosi a Dresda nel 1928 come assistente di Fritz Busch inizierà negli anni ’30 una carriera che lo porterà in Europa (in Westfalia, a Monte Carlo – dove lavorerà con l’importante compagnia di Balletti che era succeduta ai balletti russi di Diaghilev) e negli Stati Uniti. Il debutto americano avviene a New York nel 1937 e Doráti (che nel 1947 prenderà la cittadinanza americana) dirigerà anche stabilmente le orchestre di Dallas, Minneapolis, Washington e Detroit, oltre a quelle europee di Londra (BBC e Royal Philharmonic) e Stoccolma, Vienna, Amburgo e Roma; Dorati sarà uno dei direttori più amati e prolifici del XX secolo. Antal Doráti si è dedicato molto alla musica dei suoi conterranei, gli ungheresi Zoltan Kodaly e Bela Bartók, dei quali ha curato anche alcune trascrizioni, oltre ad averne diretto celebri capolavori tra cui il celebre “Concerto per Orchestra” di Bartók, con la London Symphony Orchestra. In particolare la maniera bartokiana di “trattare certi strumenti o gruppi di strumenti in maniera solistica o concertante”, per usare le parole del grande compositore ungherese, la ritroviamo nel Doráti compositore, nel suo Duo Concertante per oboe e pianoforte. Come compositore Doráti ha al suo attivo un ampio catalogo, tra cui spiccano molte composizioni corali e vocali di ispirazione sacra o comunque spirituale, oltre ad opere per orchestra e musica cameristica dagli organici più diversi.
Scritta per Christian Schmitt e dedicata alla pianista Macha Sharova, Spatio intermisso (temporis) di Jacopo Baboni Schilingi, per oboe ed elettronica, solleva alcuni quesiti a cui dà risposta. «Quanto tempo può durare una nota musicale oggi? E un suono sostenuto?». Si chiede il compositore nelle note introduttive al brano. «Quanto tempo possiamo dedicare all’ascolto della “cosiddetta” nuova musica frutto di una creazione artistica? Velocità e rapidità: i paradigmi della percezione di questo lavoro. E se puntavamo al contrario: lentezza, controtendenza, allora l’espressività risiede nella resistenza alla controtendenza: scrittura non della superficie dei suoni, ma della profondità sotto forma di note, di quella che si chiama musica. Pulsare lentamente, ostinatamente, silenzioso (a volte), quasi nulla (a volte), (a volte) quasi silenzioso (mai)».
L’uso dell’elettronica (o del live computer) mira a creare un vasto universo sonoro e a segnalare l’interattività tra Christian Schmitt e i suoni trasmessi nello spazio. Spatio intermisso (temporis) esplora un “nuovo” virtuosismo strumentale tra l’oboista e il live computer. Questo virtuosismo si basa sull’interattività tra musicista e macchina, attraverso la cattura, l’elaborazione e la diffusione del suono. Chi fa cosa? In questo caso è difficile ottenere la “risposta corretta”. In questo senso, il sottotitolo [Per Christian Schmitt e live computer] non è un vezzo, ma una realtà: l’unico oboista vivente in grado di eseguire questa composizione è Christian, che in effetti, è oboista.
La musica di Jacopo Baboni Schilingi (1971), autore di un catalogo molto ampio, dimostra, oltre ad uno spiccato interesse per il timbro, una disciplina formale assai accentuata, e la capacità di unire la scrittura e l’interattività. Tra i compositori più rappresentativi della sua generazione è stato compositore in residenza all’IRCAM, dove ha lavorato in precedenza dal 1993 al 1996, realizzando un complesso progetto di interrelazione tra architettura e musica insieme con l’architetto Pier Luigi Copat; successivamente è stato figura di spicco presso il centro per la musica elettronica Tempo Reale di Firenze, artista associato alla Saline Royale d’Arc-et-Senans, curatore del colloquio annuale PRISMA nel mondo, artista associato del Festival EMW al Conservatorio Nazionale di Shanghai, Visiting Professor alla Harvard University negli USA, Visiting Professor al Conservatorio di Wuhan. Dal 2001 ha realizzato diverse musiche per film d’autore con A. Fleischer e O. Mille per il Museo D’Orsay e il canale ARTE in Francia; con il regista H. Colomer ha realizzato la musica per il film di fiction Nocturne.
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