Oltre cento uomini che hanno lavorato su Napoli, Milano, Brescia, Pistoia, Rimini e in molte altre città d’Italia, in tutto 18 gli indagati (tutti napoletani tra i 20 e i 70 anni, pregiudicati) e 12 gli arrestati dei quali sei in flagranza di reato – si trovano nel carcere napoletano di Poggioreale – e altri ai domiciliari e con obbligo di dimora, uno ancora latitante si trova all’estero. E ancora, 200mila euro recuperati tra denaro e gioielli, frutto di oltre 50 truffe perpetrate a danni di anziani in tutta Italia, prevalentemente nel centro-nord: sono questi i numeri di “Vulturius”, la maxi operazione condotta dai carabinieri di Siena coordinati dal colonnello Michele Tamponi, comandante del Reparto operativo di Siena.
I dettagli dell’operazione che si è conclusa all’alba a Napoli, tra i quartieri spagnoli e Secondigliano con l’ausilio dei colleghi partenopei, sono stati illustrati nel corso di una conferenza stampa poche ore dopo, al rientro in caserma dei militari, alla presenza del comandante Stefano Di Pace, del colonnello Michele Tamponi, del capitano Alberto Pinto, del Procuratore Capo Salvatore Vitello e del Sostituto procuratore Siro De Flammineis che ha coordinato le indagini.
Le indagini sono partite ad agosto scorso, dopo diversi episodi di truffe ad anziani – ne abbiamo parlato e scritto lungamente per tenere alta l’allerta – su Siena e provincia: si tratta delle truffe del falso avvocato (o carabiniere, e i nomi usati, acquisiti nelle intercettazioni, erano inventati ad arte per prendere in giro anche le forze dell’ordine) che chiamava nelle case di anziani avvertendo che un parente (spesso il figlio) era stato coinvolto in un incidente grave e che rischiava il carcere e che occorreva provvedere a pagare una prima rata al sedicente avvocato per evitare la galera. Gli anziani venivano invitati a chiamare il 112 per avere conferma ma, quando i malcapitati componevano il numero, dall’altra parte i truffatori si facevano trovare, non avendo riattaccato, confermando la storiella. Diverse le truffe andate e buon fine, altrettante quelle sventate o non denunciate. A Napoli c’era una “centrale chiamante” che, attraverso l’utilizzo di migliaia di schede telefoniche sempre nuove intestate a cittadini pakistani dalla vita brevissima, individuava gli anziani da raggirare dopo un lungo e accurato studio sulla vita e le abitudini delle vittime.
Un’azienda vera e propria che da Napoli si diramava, senza mai lasciare traccia né con schede né con auto, in tutta Italia attraverso viaggi in treno, taxi, documenti falsi per mezzi a noleggio e rimborso spese per chi faceva la trasferta, truffava e poi tornava a Napoli con la refurtiva o andava a piazzarla a Milano ad alcuni ricettatori. Si lavorava dal lunedì al venerdì a pieno regime. Un’organizzazione gerarchica e severa mandata avanti a livello familiare: i reati contestati vanno dall’associazione per delinquere finalizzata alla truffa o all’estorsione, alla truffa aggravata, favoreggiamento personale o reale e ricettazione. Ma l’entità dell’organizzazione lascia spazio ora alle indagini della Procura di Napoli perché sembra essere davvero sottile – se ci fosse – il limite con l’associazione di stampo mafioso. Un satellite della camorra. I militari hanno individuato anche un importante canale di ricettazione in un appartamento di Milano. Perché i proventi dei furti diventavano pepite e lingotti d’oro, sostanzialmente falsi. Le truffe raddoppiavano quindi ed erano a danno di attività commerciali, ‘compro oro’ soprattutto: la prima piccola pepita esibita al al commerciante di preziosi risultava essere buona ma, una volta concordato il prezzo per la fornitura, venivano fornite partite di oggetti solo rivestiti d’oro, con una consistente quota interna in ferro o acciaio. Una parte di tali episodi sono anche avvenuti all’estero, in Marocco e Tunisia.
Katiuscia Vaselli
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