«Questo primo studio clinico, ad opera delle dottoresse Anna Maria Di Giacomo e Alessia Covre del CIO, suggerisce che siamo sulla giusta strada. Agire sul tumore rendendolo maggiormente visibile al sistema immunitario è la chiave per rendere più efficace l’immunoterapia» . Con queste parole il professor Michele Maio ha raccontato quale è la nuova sfida nella lotta ai tumori a cui stanno lavorando i ricercatori del Centro di immuno-oncologia (CIO) dell’azienda ospedaliero-universitaria Senese: togliere il “velo” che permette al tumore di non essere riconosciuto in maniera adeguata dal sistema immunitario. Nei risultati dello studio NIBIT-M4, pubblicati sulla rivista Clinical Cancer Research, il gruppo di ricerca del professor Michele Maio ha dimostrato che nei pazienti con melanoma la successione di guadecitabina e ipilimumab migliora la risposta del sistema immunitario nel riconoscere e attaccare le cellule tumorali e aumenta l’efficacia clinica del trattamento con il solo ipilimumab. Lo studio è stato progettato e condotto dalla Fondazione Nibit, anche grazie al sostegno di Fondazione Airc per la ricerca sul cancro.
L’immunoterapia, come testimoniato dal Nobel per la Medicina 2018, da circa dieci anni sta rivoluzionando la cura dei tumori. Purtroppo però, ad oggi, solo una quota compresa tra il 40% e il 50% risponde a questa strategia terapeutica. Per aumentare la percentuale la ricerca si sta concentrando sull’individuazione di molecole capaci di modificare le caratteristiche della malattia con l’obiettivo di rendere maggiormente visibile il tumore al sistema immunitario.
Lo studio realizzato dai ricercatori del CIO con la Fondazione Nibit va in questa direzione. Il primo passo consiste nella somministrazione di un farmaco epigenetico, la guadecitabina, capace di determinare modificazioni nel Dna delle cellule tumorali per poterne modularne l’espressione genica. In questo modo le cellule tumorali esprimono sulla loro superficie molecole che hanno un ruolo fondamentale nell’interazione tra tumore e sistema immunitario. Successivamente il tumore, reso maggiormente visibile dalla guadecitabina, viene attaccato dal sistema immunitario la cui azione è stata potenziata grazie all’utilizzo dell’immunoterapico ipilimumab. La guadecitabina dunque crea le condizioni ottimali per fare in modo che i farmaci immunoterapici somministrati successivamente possano avere maggiore efficacia.
La sperimentazione clinica di fase 1b, iniziata nel 2015, ha coinvolto 19 pazienti con melanoma metastatico e ha raggiunto l’obiettivo di dimostrare la sicurezza e la tollerabilità della sequenza di somministrazione dei due farmaci. Dalle analisi è anche emerso che nel 42% dei pazienti si è verificata una risposta obiettiva al trattamento o un controllo della progressione di malattia. Risultati unici e rilevanti che sono valsi la pubblicazione sull’importante rivista dell’American Association for Cancer Research (https://clincancerres.aacrjournals.org/content/early/2019/09/17/1078-0432.CCR-19-1335.long).
«I risultati dello studio NIBIT-M4 confermano nei pazienti le nostre precedenti osservazioni pre-cliniche -prosegue Maio – e stiamo già progettando, anche grazie al recente finanziamento 5xmille ottenuto da Fondazione AIRC, nuove sperimentazioni cliniche con farmaci epigenetici in pazienti resistenti ad un primo trattamento immunoterapico».