Le immagini di Luca Cari (anche quella con papa Francesco davanti alle macerie di Amatrice) e quelle dei suoi colleghi hanno fatto il giro del mondo. Un viso che conosciamo, che ci è amico come tutti quelli dei pompieri. Perché i vigili del fuoco sono eroi di tutti noi, rappresentano immagini di speranza, di salvataggi, di protezione, anche di disperazione a volte. Umani ai quali ci affidiamo con fiducia quasi avessero poteri soprannaturali. Eppure, come lui stesso spiega nel suo libro ‘Non sono Dio’, si tratta di uomini. Luca Cari lavora al Ministero dell’Interno, è il responsabile della comunicazione in emergenza del Corpo nazionale dei Vigili del fuoco. Nei giorni scorsi è stato a Siena, città cui è legato dalle radici, per visitare La Bellezza Ferita.
“Sono cresciuto in via del Paradiso, nella contrada del Drago quindi sono molto legato a Siena. Tornare qui a vedere la mostra mi ha commosso: ho rivissuto con i ricordi il nostro lavoro ma ho anche ricordato la mia infanzia. Mia nonna era ricoverata al Santa Maria della Scala, io ero piccolo e non mi facevano entrare in reparto. Ricordo quando si affacciava alla finestra a salutarmi, io ero giù, in Piazza del Duomo, ad aspettarla”.
Quindi colpito piacevolmente anche dal luogo nel quale è stata allestita la mostra La Bellezza Ferita…
“Sicuramente. Sono rimasto ammutolito quando l’ho vista. Commovente, molto bello”.
Ha rivisto il suo lavoro e quello dei colleghi. Il percorso espositivo rappresenta bene i contesti nei quali avete lavorato? Riesce a trasmettere il giusto messaggio?
“Di sicuro. Sono rimasto colpito anche dall’utilizzo della struttura di documentazione video, quella che per i vigili del fuoco è sempre esistita ma che oggi utilizziamo anche per la formazione dei nostri uomini. Non tutti intervengono su tutto, il lavoro accurato che facciamo anche attraverso i video ci serve per far fare esperienza anche a quelli che in alcuni eventi non ci sono stati. Il naufragio della Concordia, per esempio: lo abbiamo vissuto in 300, forse. Gli altri hanno visto i filmati e studiato attraverso di essi. Un lavoro fondamentale”.
Vedere la mostra significa essere nuovamente catapultati nei momenti in cui la terra ha tremato fino a distruggere il cuore del centro Italia?
“Sì. Perché psicologicamente nessuno di noi ne è fuori. E nella mostra, che conta su molti filmati dei vigili del fuoco, vengono messi in evidenza dettagli che dall’esterno non si possono vedere ma tu sei lì e li rivivi, di nuovo, rielaborando emotivamente gli eventi attraverso una presentazione emozionale oltre che oggettiva”.
Cosa ha rivissuto in particolare?
“Il 29 e il 30 ottobre. Il 29, una giornata bellissima, stavamo lavorando per mettere in sicurezza le guglie e il tetto della basilica di San Benedetto, a Norcia. Va ricordato che il fronte è stato allargato dopo il 30 ottobre, prima contavamo interventi su 5mila tra chiese, monumenti e abitazioni. Quel giorno eravamo a lavoro – una decina di uomini, con le corde – sul tetto della basilica, che era ancora in piedi mentre le scosse che continuavano e venire facevano crollare ad una ad una le chiese e le abitazioni vicine. Comunque, il lavoro – complesso, c’era da fare molto sulla facciata oltre che sul tetto – sarebbe dovuto proseguire il 30 ottobre e credo sia un miracolo, in qualche modo, quello che è successo: quella notte è stata rimessa l’ora solare, quindi la scossa che ha devastato tutto alle 7.40 del mattino ha buttato giù la basilica ma non ha trovato i vigili del fuoco a lavoro. Se fossero state le 8.40, ci saremmo stati tutti. E sarebbero state contate molte vittime. Molti di noi pensano ci abbia protetto Santa Barbara, qualcuno pensa alla fortuna. Di certo siamo stati salvati”.
Cosa l’ha emozionata di più?
“Mi è bastata l’immagine nel manifesto della mostra, il collega che esce dalla chiesa di San Pellegrino di Norcia con la statua del Bambin Gesù tra le braccia quasi stesse salvano un bimbo in carne ed ossa. E poi la campana, il crocifisso ligneo… Li vedo e rivivo i momenti in cui queste opere sono state salvate”.
Per portare in salvo anche le opere d’arte, serve una tecnica particolare?
“Dal punto di vista tecnico siamo addestrati per il recupero opere d’arte, sì, adottiamo tecniche particolari, impariamo ad esempio come staccare una pala d’altare dalla parete e poi il recupero viene fatto utilizzando tecnologie avanzate: anche nel caso del recente terremoto, come in altre situazioni, abbiamo utilizzato droni che attraverso immagini in 3d ci hanno permesso di pianificare il lavoro prima ancora di intervenire. I vigili del fuoco sono così in grado di entrare, faccio l’esempio della chiesa di Sant’Agsotino ad Amatrice, sapendo dove poter passare e dove si trovano le opere che si possono recuperare. I nostri caschi rossi stanno lavorando molto bene”.
Interventi che avete fatto non solo in Italia…
“Noi salviamo vite umane e l’arte, la bellezza ferita ovunque, non solo qui, anche all’estero. Siamo stati in Ecuador e in Nepal, anche. E il lavoro del vigile del fuoco ha con sé una forte empatìa, tale da far sembrare anche una statua del Bambin Gesù, un bambino vivo e portato in braccio con amore. Non tutti i vigili del fuoco sono credenti ma per nessuno una statua, un’opera, è solo un pezzo di legno. E’ un patrimonio che ha un valore enorme, artistico ed emotivo, per chiunque”.
Quindi la Bellezza Ferita le è piaciuta…
“Bellissima. E sono felice che sia a Siena. Per l’inaugurazione ero impegnato a Norcia ma avevo ricevuto la chiamata del comandante di Siena, ingegner Luca Nassi, che mi aveva già descritto l’iniziativa come qualcosa di unico. In effetti, ripeto, ci sono dettagli che mi hanno lasciato senza parole. Certo vorremmo pubblicizzarla perché credo sia il sigillo del grande lavoro compiuto dai vigili del fuoco. Siamo contenti di aver collaborato all’iniziativa fornendo materiale video e immagini e anzi, un grazie enorme va a coloro che hanno avuto l’idea di organizzare la mostra. Noi salviamo quanto più possibile ma vedere le nostre divise e rivivere quei momenti diventa una salvezza emotiva, forte, per ognuno di noi”.
Katiuscia Vaselli
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