In sella al soprallasso, durante il corteo storico, ricoperto dalla fastosa montura, il fantino pensava al tempo esiguo che lo separava dall’ingresso fra i canapi?

O pensava invece a come sarebbe dovuto portarsi, sul tufo, con l’altro, il suo recente rivale, che montava a sua volta e indossava il giubbetto di una contrada le cui intenzioni non erano ancora chiare?

Sarebbe avvenuto, per ragioni di strategia, uno scontro tra i due? Oppure, per le stesse ragioni, avrebbero dovuto accordarsi, differendo le ostilità personali? Fino alla conoscenza dell’ordine di ingresso alla mossa, chiederselo era vano.

Infatti il fantino non solo non pensava al tempo e al rivale, ma nemmeno si faceva quelle domande, ovvero non più: ora i suoi pensieri avevano un solo oggetto, e questo era il Cencio; una sola era la domanda che si poneva, e questa non era come avrebbe corso e come avrebbe vinto, ma se avrebbe vinto.

I soldi – pensava anche – sono una cosa bellissima; ma a Siena vengono sacrificati alla Vittoria, che è più bella ancora. Quanti se ne impiegano, che divengono un concetto astratto: la Vittoria? Naturalmente il fantino non era così filosofo come le parole lasciano intendere: ma sentiva bene in sé stesso che lì si era pronti a spandere denaro per ottenere una cosa immateriale.

Lui stesso, se avesse vinto, avrebbe, insieme al cavallo che montava, incarnato quella cosa immateriale a cui tutta la città tendeva come al fine ultimo della sua esistenza. La Vittoria. La città era una unione di diciassette cuori pulsanti ognuno per una sola amata, unica e non condivisibile: la Vittoria. Il bene supremo raggiunto da uno, perduto da tutti gli altri. Gioia e sofferenza; vita e morte; e tanto più intense la gioia e la vita quanto più uniche e solitarie.

Nella sua solitudine di monturato in groppa al soprallasso, questi sentimenti confusamente provava il fantino, nel tempo esiguo che lo separava dal momento in cui avrebbe giocato la sua possibilità di essere, lui, l’unico.

Testo: Andrea Laiolo

Illustrazione: Riccardo Manganelli

Andrea Laiolo nasce ad Asti nel 1971. Si laurea con una tesi sulla valenza scenica del verso alfieriano, vincitrice del Premio Alfieri nel 1999. La sua prima silloge poetica è del 2004, seguita da altre, le ultime delle quali sono Aurea Ora (Bertoni 2021) e Nella schiusa rosa dei venti (Controluna, 2023) che contiene anche testi di Mario Marchisio e Bartolomeo Smaldone; ha inoltre pubblicato testi teatrali e vari interventi saggistici. Del 2022 è I figli del mattino (Readaction Editrice), raccolta di racconti ispirati agli antichi pittori della Scuola Senese e alle loro opere: il più recente pannello appartenente a un lavoro letterario che ha avuto fin dall’inizio la città del Palio tra i suoi principali oggetti, e già sfociato in una raccolta poetica interamente dedicata: La città della Festa, Achille & La Tartaruga, 2016)

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