Mariano, parroco di San Pietro a Ovile, ed il suo pellegrinaggio a Gerusalemme

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Il 9 aprile 1431 parte da Siena, per andare in pellegrinaggio in Terrasanta, Mariano di Nanni, rettore della parrocchia di San Pietro Ovile, come certificano le visite pastorali del Vescovo Carlo Bartoli nel 1427 e 1428. Mariano è al suo terzo viaggio a Gerusalemme ed ha circa 46 anni, dato che si ipotizza sia nato intorno al 1384. Egli parte, forse per dividere le difficoltà (e i costi del viaggio), con suo maestro spirituale Pietro di Nicolò e con Gaspare di Bartolomeo, cappellano in duomo.

I tre viaggiano a piedi per la via che conduce a Chiusi e di lì a Perugia, Gubbio, Urbino e Ravenna. A Venezia (principale punto di imbarco a nord per la Terrasanta) prendono il mare e arrivano al porto di Giaffa il 25 maggio. Da Giaffa vanno subito a Gerusalemme, dove si recano a pregare alla basilica della Resurrezione (il Santo Sepolcro) e, da lì, si spostano nei centri di devozione vicini: Betlemme, Gerico, Betania. Il tutto fatto in un paio di settimane, fino al 7 giugno. Rispetto alle usanze dei pellegrini del tempo la sosta in Terrasanta è davvero breve: forse le risorse economiche non consentono di più, forse sopraggiungono altri problemi, ma questo Mariano non ce lo racconta. Mariano (oggi conosciuto come Mariano da Siena) e i suoi amici, al ritorno, fanno un diverso itinerario: i tre religiosi, infatti, arrivano in Puglia e ne approfittano per visitare importanti centri di culto come San Nicola a Bari e il Santuario di San Michele sul Galgano, e tutte le località segnate dalla memoria di San Bernardino che trovano sulla strada. Poi rientrano a Siena dal percorso “classico”, dalla Francigena, attraverso l’Umbria e la Val d’Orcia. Tutto questo ci viene raccontato dallo stesso Mariano il quale tiene un diario di questo suo terzo pellegrinaggio nel quale non si limita a descrivere i luoghi santi, ma anche l’ambiente e le persone che incontra. Un resoconto particolareggiato di questa esperienza, a partire dalle difficoltà. I viaggi in mare (ma anche quelli via terra, del resto) portano grandi insidie e i “mali di stomacho intollerabili” dovuti al mal di mare sono il meno. Mariano racconta che in occasione del suo primo pellegrinaggio la nave su cui è imbarcato subisce ben due attacchi dai corsari che rubano solo un po’ di carico senza fare di peggio proprio “per amore de’ pellegrini” che erano a bordo.

Poi parla dei luoghi che vede durante il viaggio e qui il problema è far capire a coloro che leggeranno, una volta tornato a Siena, come sono i paesaggi, le città, le chiese di questo mondo lontano, per cui usa paragoni richiamano le cose di casa nostra. E allora, come fanno spesso i viaggiatori, paragona ciò che vede a cose familiari ai lettori: a Gerusalemme, ad esempio, dice di aver visto una colonna fatta di pietra grossa “di chorore chome quella ch’è alle schalelle del Duomo di Siena”, mentre la chiesa di Santa Maria della Visitazione, a circa 7 miglia da Betlemme, gli appare come “una bellixima chiesa tonda chome sancto Yohanni di Firenze”.

Lo scritto di Mariano è ancora oggi una testimonianza sia dello spirito religioso di un uomo del Quattrocento, sia un prezioso reportage sul Medio-Oriente e la sua gente. Di Mariano non si trovano praticamente ulteriori notizie (tranne pochissime e insignificanti) che ci facciano capire che cosa abbia fatto dopo il ritorno e quando sia morto. Resta il rammarico che, nella nostra città, solo pochi specialisti di storia del pellegrinaggio o della religiosità, conoscano questa figura di viaggiatore, di eccellente scrittore e, verrebbe quasi da dire, di proto antropologo. Mariano, “prenota” in anticipo, mediante l’apposizione di un segno, nella valle di Giosafat il suo posto, quello in cui resuscitare il giorno del Giudizio (“purché non mi sia tolto…facciamo sì che nol perdiamo”). Ma, chi è stato pellegrino in Terrasanta, da allora ad oggi, chi non l’ha fatto?

Maura Martellucci
Roberto Cresti