“Se il Santo Padre presiedierà le celebrazioni per la Settimana Santa? Non lo so”. A dirlo è il presidente della Cei e cardinale di Bologna, Matteo Maria Zuppi rispondendo alle domande dei giornalisti a margine dell’evento “Un tempo complesso per l’Italia e la Chiesa. Tra migranti e guerra in Ucraina”, organizzato da Massimo Bianchi, docente di Rapporti tra Stato e Chiesa al Dipartimento Di Scienze Politiche e Internazionali dell’università di Siena e che prevedeva il confronto con gli studenti insieme al cardinale Augusto Paolo Lojudice, arcivescovo di Siena Colle di Val D’Elsa Montalcino e vescovo di Montepulciano Chiusi Pienza.
A chi ha chiesto se le condizioni di salute del Papa avessero in qualche modo acuito le frizioni interne alla Chiesa tra progressisti e conservatori Zuppi ha risposto osservando come “le differenze nella Chiesa ci sono”, ma “per fortuna, il pensiero unico è altrove. Casomai la malattia del Papa rafforza la comunione intorno a colui che serve e presiede la Chiesa e che è il Papa stesso”. Poi Zuppi è passato a parlare del conflitto in Ucraina che per lui è “una delle sfide più grandi di tutti quanti. Ecco quindi che dobbiamo capire che cosa significhi cercare la pace e spingere perché questa non sia un’illusione ma diventi una realtà. Anche la Chiesa farà l’impossibile per arrivare alla pace”.
All’evento hanno portato i propri saluti il rettore dell’ateneo senese Roberto di Pietra e Giovanni Minnucci, rettore dell’Opera della Metropolitana. A coordinare l’evento, don Vittorio Giglio, direttore dell’ufficio comunicazioni sociali dell’arcidiocesi.
Sui migranti “il problema è strutturale e mondiale. E dovremo essere capaci di affrontarlo non come se fosse un’ emergenza e cioè ogni volta che affonda qualche barca e che muoiono purtroppo i bambini. Sulla criticità dei migranti vedo un’Europa disgregata e incapace di fare un cammino unico”, dice Augusto Paolo Lojudice . Sul piano del Governo “è chiaro che ogni Esecutivo deve in qualche modo garantire i suoi colori politici e rispondere ai propri elettori – ha continuato -. Ma non credo che si potrà fare grandi stravolgimenti anche perché è come se si cercasse di respingere un tsunami con un muretto. Credo che bisogna mettersi a un tavolo per discutere di accoglienza e dare una risposta degna di una civiltà”.
E dopo le interviste, dentro l’aula Cardini gremita di pubblico, va in scena più che un confronto una lezione di umanità enorme da parte di due titani – amici da una vita – che quasi incuranti del loro ruolo parlano al pubblico con accorata semplicità, con dettagliata cultura, con appassionata complicità, con umana interpretazione delle vicende storiche che hanno delineato la storia mondiale contemporanea: partendo dal “Tantum aurora est” che Papa Giovanni XXIII pronunciò all’apertura del Concilio Vaticano II, i due solcano tempi e fatti attraverso riflessioni che scuotono le coscienze e toccano i cuori, che rinvigoriscono le azioni degli uomini che hanno scritto le pagine italiane e mondiali del Dopoguerra, toccando con forza l’episodio del 4 ottobre 1965, quando Paolo VI pronunciò il discorso all’Onu. Il tutto mentre il pubblico non distoglie nemmeno un attimo l’attenzione, catalizzata sulle parole dei due grandi uomini della Chiesa. “Una Chiesa che sta cambiando, indubbiamente così come cambia – e fa bene e entrambe le parti – il rapporto tra Stato e Chiesa” hanno detto parlando della garanzia di laicità che viene proprio dal Vaticano.
Tanti gli argomenti toccati ma forse per tutto parla un messaggio arrivato a entrambi e letto da don Giglio: “Guarda come si finisce dopo aver fatto i parroci a Tor Bella Monaca e a Torre Angela… e non mi meraviglierebbe se uno dei due un giorno comparisse vestito di bianco”.
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