Miramar, missione salvataggio del Mediterraneo: da Siena parte la sfida agli inquinanti invisibili
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Cosa succede quando un ecosistema fragile come il Mediterraneo è colpito contemporaneamente da plastica, farmaci, microinquinanti e cambiamenti climatici? La risposta è un’emergenza silenziosa che rischia di compromettere per sempre la biodiversità del nostro mare.
Per affrontare questa sfida è nato Miramar, un progetto finanziato dalla Commissione Europea attraverso i programmi Interreg ed EuroMed. Coordinato a livello europeo dall’Università di Siena, coinvolge otto partner di sei Paesi mediterranei. A guidarlo è Maria Cristina Fossi, docente dell’ateneo e voce autorevole nello studio dell’ecotossicologia marina.
“Il nostro obiettivo è capire cosa provocano tutti questi stress di origine antropica sugli ecosistemi e sulla biodiversità del Mediterraneo”, spiega Fossi. “E per stress intendo le plastiche, le microplastiche, i contaminanti di vecchia generazione, ma anche quelli emergenti, come i farmaci e gli additivi, di cui sappiamo ancora pochissimo.”
La vera novità del progetto è l’approccio integrato. Finora, infatti, ogni fattore di pressione ambientale è stato analizzato separatamente. “Ma un organismo – sottolinea la scienziata – non è esposto a un solo inquinante per volta. Una balena, per esempio, può subire contemporaneamente l’effetto di dieci stress diversi, che interagiscono tra loro. È un impatto cumulativo, e può generare effetti molto più gravi di quelli attesi.”
Miramar, però, non si occuperà delle balene questa volta, ma di tre ecosistemi chiave del Mediterraneo: le praterie di Posidonia oceanica, le zone umide e gli habitat di specie marine in pericolo, in particolare quelli che influenzano anche l’avifauna.
“Metteremo a punto una nuova metodologia diagnostica per misurare questi impatti complessi”, racconta Fossi. “L’obiettivo finale è poter passare all’azione concreta: sviluppare strategie di mitigazione e restauro per questi ecosistemi così cruciali per la salute del nostro mare.”