Paolo Cochi presenterà il 7 settembre a Siena il suo ‘Il Mostro di Firenze – Al di là di ogni ragionevole dubbio’. Contemporaneamente, dopo un lungo lavoro di ricerca, Siena News h pubblicato i primi articoli relativi ai delitti del mostro, portando avanti una tesi diversa da quella che portò alla sentenza di condanna dei compagni di merende. All’improvviso spunta una Beretta Calibro 22 a smuovere nuovamente le acque. Paolo Cochi, perché? Perché questa ferita ancora viva? Perché tutti questi anni non hanno portato al mostro? Qualcuno lo ha protetto? Se sì, perché?
E’ giusto continuare a parlare ancora della vicenda così come sta facendo Siena News?
«Direi giustissimo. E’ più che doveroso continuare a seguire un caso come questo. Il giornalismo d’inchiesta in Italia è sempre più raro e il caso del “mostro di Firenze” non è affatto chiuso o risolto, come alcuni personaggi del passato vogliono lasciarci pensare. Ci sono delle sentenze parziali, molto discutibili e dati oggettivi che divergono completamente dal risultato processuale».
Sienanews, in un primo momento, offrirà una ricostruzione storica della vicenda fermandosi volontariamente al 1989. Condividi questo approccio?
«La storia è proprio così. Vi era l’indagine dei CC. con il G.I. Rotella che seguiva la cosiddetta “pista sarda” e che appunto si concluse ufficialmente con la sentenza del 1989. E poi vi fu il filone successivo dove il procuratore capo P.L. Vigna iniziò a percorrere l’indagine su Pietro Pacciani. Condivido l’approccio storico-temporale dell’inchiesta.
La sentenza Rotella del 1989 rappresenta un elemento di chiusura, ma al tempo stesso sembra quasi voler suggerire di non abbandonare tutti quegli anni di indagini. Cosa ne pensi?
«Ufficialmente i CC che all’epoca seguivano il caso, le abbandonarono totalmente, almeno dal punto di vista operativo dell’indagine. Con molti di loro ho avuto modo di parlare del caso a distanza di molti anni e alcuni punti, soprattutto quello relativo alla pistola Calibro 22, doveva essere approfondito».
Credi sia possibile entrare nuovamente negli archivi e analizzare, alla luce delle nuove tecnologie, tutti quei reperti di cui ancora disponiamo?
«Se parliamo di archivio – documentale, l’opera è pressoché completa e riportata nel libro. Se invece si parla di reperti come i corpi di reato tipo la tenda del delitto di Scopeti del settembre 1985, credo che si debba chiedere conto agli attuali inquirenti, che da più di un anno, secondo i giornali fiorentini, sarebbero ancora impegnati nella ricerca dei “mandanti” dei delitti del Mostro, sperando che queste nuove indagini portino a risultati più soddisfacenti rispetto al recente passato, visti le precedenti indagini che portarono sul banco degli imputati un farmacista, accusato, processato e poi assolto. A mio avviso, la pista dei “mandanti” è una pista buia, non esistono nel modo della criminologia omicidi con questa modalità. Se poi aggiungiamo che gli esecutori dovevano esse
Sappiamo che le nuove tecnologie sono utilissime anche nei vecchi cold case, ci sono dei mezzi estremamente efficaci ed efficienti al livello scientifico, rispetto al 1985. Se son state fatte analisi ultimamente, nessuno lo sa, forse anche perché nessun organo di informazione l’ha chiesto direttamente agli organi inquirenti. Ultimamente , leggo sui giornali fiorentini soltanto degli articoli pieni di “refusi” nei quali non si trova alcun senso logico. Credo inoltre che sarebbe opportuno, specialmente dopo le ultime affermazioni scientifiche circa la datazione del delitto dei francesi a Scopeti, rianalizzare i vecchi reperti se ben conservati. Se sulla tenda ci fosse un DNA diverso rispetto a quello delle vittime e dei condannati?»
Tu dovessi allinearti con tesi e/o teorie del passato quale di esse sposeresti?
«Certamente non sposerei quella ufficiale, che vede colpevoli i compagni di merende esecutori di 4 dei 7 duplici omicidi e Stefano Mele per il delitto del 1968, né tanto meno all’esistenza dei ” mandanti “. Anche perché è stato dimostrato che, sia in passato che di recente in maniera ancor più vigorosa, Giancarlo Lotti nei suoi racconti mentì numerose volte. Nel delitto di Baccaiano del 1982, ad esempio, documentiamo nel libro, che vi erano 6 testimoni che passarono a poche decine di secondi dal delitto e che nell’immediatezza dei fatti verbalizzarono tutto ai ai CC, non dopo 11 o 15 anni come famosi testimoni alfa-beta-gamma . Questi signori transitarono sulla strada della piazzola del delitto e non videro affatto le auto ed i compagni di merende presenti sulla scena del crimine, come Lotti raccontò al processo.
Questo, come vari altri elementi, tipo la diversa datazione del delitto di Scopeti, vengono raccontati attraverso gli atti nel libro e dimostrano che i fatti non si possono essere svolti come ce li racconta Giancarlo Lotti . Questi e tanti altri elementi “smentiscono” i racconti del testimone chiave reo-confesso, che fu la primaria fonte di prova nel processo. Da osservare, inoltre , che il procuratore Generale Daniele Propato, chiese l’assoluzione di Vanni e la calunnia per Lotti. Tuttavia non mi sento di “sposare” alcuna tesi. Quella di Filastò però è interessante e penso che l’autore non sia mai stato individuato , ma forse solo sfiorato dalle indagini».
Katiuscia Vaselli
Andrea Ceccherini
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