Alcuni organi di stampa riportano oggi, non senza una certa ingiustificata enfasi, la notizia della condizione di libertà condizionale riconosciuta ad un ex-ergastolano, colpevole di delitti consumati in quanto afferente alla malavita organizzata, che dopo 27 anni di carcere ha avuto accesso alla misura premiale e che ha iniziato la sua nuova esistenza nella nostra città, lavorando e completando gli studi universitari.
Lo studio è la chiave di volta della vicenda: un giovane cresciuto in un ambiente mafioso palermitano intraprende la propria carriera criminale macchiandosi di efferati delitti; poi il carcere interrompe questo percorso di vita recidendo i legami con l’ambiente di provenienza. Oltre all’isolamento, però, il carcere gli offre anche l’opportunità di tornare a studiare; un diploma di scuola superiore e poi l’università. Il detenuto, ormai adulto, scopre lo studio, si impadronisce della scrittura, comincia a confrontarsi con gli studenti che, volontariamente e con il coordinamento del prof. Alessandro Fo, offrono ai detenuti di San Gimignano/ Ranza, lezioni e presentazioni di autori, di poeti, di temi di riflessione, prevalentemente di ambito umanistico. Studiare e scrivere sono i due strumenti mediante i quali il detenuto e nostro studente ripensa e rivede la propria esistenza passata, cominciando a intravedere un futuro diverso, adeguato alla persona diversa e nuova che si è rivelata nella condizione detentiva e grazie anche alle risorse culturali cui ha avuto accesso.
Gli ultimi anni vedono arrivare i primi concreti segnali di questo cambiamento: la pubblicazione di racconti e di poesie, un romanzo, tre premi letterari, la laurea triennale, gli esami della carriera magistrale; in parallelo l’attenuazione del regime carcerario con i primi permessi, poi la misura del lavoro esterno e infine la libertà condizionale. La nostra città gli offre la giusta opportunità lavorativa perché possa immaginarsi e costruirsi un percorso di vita lontano e autonomo dalla condizione di partenza: quello della persona di cui si parla è un percorso che definiremmo esemplare di come – pur con le estreme e ben note difficoltà – il dispositivo della collaborazione tra scuola, università e carcere possa davvero realizzare quanto l’articolo 27 della nostra Costituzione prevede per la pena carceraria. A questo va aggiunta la circostanza esterna di un tessuto sociale ed economico vitale, esigente ma accogliente, che è in grado di offrire prospettive a chi questo percorso lo ha compiuto sul serio e fino in fondo.
Il tono con cui è stata data la notizia lascia temere che si intenda cavalcare l’esempio in questione per portare alimento a polemiche sulla gestione della giustizia, rischiando di inchiodare – peraltro con gravi inesattezze – una persona al proprio passato, proprio quando la promessa di una seconda opzione pareva avviarsi alla realizzazione.
Il prolungato e crescente impegno dell’Università di Siena nell’offerta didattica in carcere sta a dimostrare la convinzione della sua importanza, la fiducia nelle decisioni degli organi di giustizia che si esprimono in piena e totale autonomia sulle carriere detentive di coloro che sono, a tutti gli effetti, anche dei propri studenti, con l’auspicio che ad ogni detenuto sia garantita quella seconda opzione che la funzione rieducativa della pena associa alla carcerazione. A ciò si aggiunga l’augurio che anche gli organi di stampa colgano responsabilmente l’importanza del recupero alla piena ed autonoma cittadinanza di chi si è trovato un tempo dall’altra parte della legalità ed ha dedicato tanta parte della propria esistenza a riscrivere il proprio futuro, a riscriverlo diversamente dal proprio passato.
Fabio Mugnaini
Docente di discipline antropologiche e Delegato del Rettore per il Polo Universitario Penitenziario.
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