Nicoló, Duccio e il senso delle cose: diventare grandi nel vicolo di Tone

Nicolò, Duccio e il senso delle cose è la rubrica settimanale di giornalismo narrativo su Siena proposta da SienaNews. Gestita da due giovani, Nicolò Ricci per la fotografia e Giada Finucci per la scrittura, vuole portare lo sguardo delle nuove generazioni sulla città. Il suo scopo è quello di valorizzare luoghi di Siena attraverso la fotografia e il racconto.(link qui)

Era l’ora in cui il brusio delle voci di una serata passata insieme si fa sempre più lieve, e le notti d’estate si riempiono del battito di sandali sulla pietra serena.
“Allora ragazzi ciao, vado a prendere il motorino. Scusate ma domattina devo alzarmi presto. Duccio, ripasso da qui e ti prendo”. Ci teneva, Andrea, a fare il fratello maggiore. A svolgere il ruolo di chi va a compiere la mansione “pericolosa” – andare a prendere il motorino nel Vicolo di Tone – per poi passare a prendere il fratellino. Sarei cresciuto fra vent’anni, forse, quando lui se ne fosse andato da questa città e io non sarei più stato,per tutti, il fratello d’Andrea.

Lo guardai, annui a labbra strette e riabbassai la testa sulle carte. Avevo una buona mano, pregai almeno di rivederlo comparire dopo la fine della partita.
Vinsi due partire a scala di fila, quella sera. Anche per questo è rimasta così memorabile. Riponemmo le carte dentro la scatola di cartone e ci alzammo anche noi dalle sedie rosse del bar di società. Gli altri sfoderarono il telefono dalla tasca per guardare l’ora. “Ma Andrea?” chiese Alberto.

Eh, Andrea. La felicità d’avermi concesso del tempo da solo con i suoi amici fu rimpiazzata dall’ansia di accorgermi che era passata mezz’ora, da quando mio fratello se n’era andato. “Proviamo a chiamarlo, dai. Avrà incontrato qualcuno, si sarà messo a chiacchierare come fa lui”, incitò Riccardo. Al telefono rispondeva la segreteria telefonica. “Gnamo Duccio, per una volta se n’è andato a casa con qualcuna, e ti ha lasciato qua”. Ci avrei riso anche io, se non avessi
conosciuto mio fratello. “Andiamo insieme a cercarlo”, proposi. “Nono Duccio, aspetta qua, vado io”. Rimasi con Alberto mentre anche Riccardo sparì
alla ricerca d’Andrea. Dietro il bancone del bar chiudevano la cassa, la società iniziava a spegnere le sue luci. Ci accompagnarono fuori e i battenti del portone si chiusero dietro le nostre spalle.

Da un quarto d’ora anche Riccardo era sparito alla ricerca di mio fratello. Alberto fumava la sua sigaretta, lo sguardo dritto davanti a sé. Ogni tanto lo abbassava, per squadrarmi dall’altro del suo metro e novanta. Volevo togliergli di dosso il peso di fare il baby sitter, quest’attesa inutile che sentivo dipendere tutta da me: “Senti, vado a cercarli anche io”, mi uscì fuori timidamente. Al posto del no categorico che mi aspettavo, sollevò le spalle e continuò ad aspirare in silenzio, lo sguardo ancora perso in un dove inesplorato.

Arrivai nel Vicolo di Tone. Due file di motorini, parcheggiati a lisca di pesce quasi a voler sfidare la pendenza del vicolo, sembravano messe lì a coprire i buchi d’intonaco alle pareti. Fuori da ogni logica di parcheggio, spiccava in mezzo al passaggio un fiocco blu grande quanto lo scarabeo a cui era appeso. C’era un biglietto, sulla sella, mi avvicinai: “A Duccio, che da ora, può tornare a casa da solo”.

Sussultai al rumore metallico di un dondolio di chiavi dietro di me. Mio fratello e Riccardo si davano pacche sulle spalle a vicenda, visibilmente compiaciuti.
“Allora, nano, che ne dici?” Il giorno dopo avrei compiuto quattordici anni.

Duccio

Testo di Giada Finucci

Foto di Nicolò Ricci

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