Siena

Nicoló, Duccio e il senso delle cose: San Raimondo al Refugio e l’entrata a scuola

Nicolò, Duccio e il senso delle cose è la rubrica settimanale di giornalismo narrativo su Siena proposta da SienaNews. Gestita da due giovani, Nicolò Ricci per la fotografia e Giada Finucci per la scrittura, vuole portare lo sguardo delle nuove generazioni sulla città. Il suo scopo è quello di valorizzare luoghi di Siena attraverso la fotografia e il racconto.

C’era un momento, alla mattina, in cui un piede poggiava già sulla pietra serena e l’altro attendeva, al tepore del motore acceso, che il discorso rituale di mamma terminasse. Mi dimenavo fra cappotto e sciarpa per infilare i lacci dello zaino sulle spalle, combattendo contro il peso di gravità dei libri che mi rigettava con forza sul sedile posteriore. La gamba fuori teneva lo sportello aperto a metà, il buongiorno di mamma faticava a concludersi e il guidatore della macchina dietro non si vergognava più di suonare il clacson.

Il mio busto era a metà, diviso sulla linea di confine fra il riscaldamento a palla di tutto ciò che già conoscevo e il freddo dicembrino di una mattina nuova. Le orecchie erano per mamma, ma lo sguardo era già sul mio futuro: scrutava attento i gruppi di ragazzi che parlottavano in cerchio, in cerca di volti o schiene familiari. C’era chi scartava un croissant delle macchinette, chi aveva un orecchio per gli amici e l’altro per la tecno negli auricolari, chi copiava i compiti in piedi, poggiando il quaderno alla parete in mattoni rossi della scuola.

 

“Non ti preoccupare, sii spontaneo. Sei simpaticissimo”
Annuivo poco convinto, chiedendomi cosa fosse la spontaneità. Come potesse accadere che una parola seguisse l’altra senza doverla andare a cercare con il lumicino nei recessi del cervello, facendosi spazio fra la nebbia di dubbi che si interponeva fra un neurone e l’altro, e pregarla di uscire allo scoperto. Come potesse accadere che le mie braccia, le mie gambe, il mio busto così sconosciuti a se stessi, si coordinassero in gesti integrabili alla scena in cui gli altri corpi adolescenti recitavano.

Da sotto il cappuccio, alzavo lo sguardo su San Raimondo. Anche il piede sinistro si staccava coraggioso dal tappetino della macchina, e toccava terra. Mi voltavo, accompagnando con gli occhi i finestrini della macchina alzarsi e portare via la canzone alla radio. Trattenevo il respiro, in attesa che la cappa di fumo che mi inglobava si dissolvesse. I numeri della targa si facevano sempre più illeggibili. Ero del mondo, adesso.

Duccio

Testo di Giada Finucci

Foto di Nicolò Ricci

marco crimi

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marco crimi

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