Nicolò, Duccio e il senso delle cose: Via del Comune, la fatica di salire

Nicolò, Duccio e il senso delle cose è la rubrica settimanale di giornalismo narrativo su Siena proposta da SienaNews. Gestita da due giovani, Nicolò Ricci per la fotografia e Giada Finucci per la scrittura, vuole portare lo sguardo delle nuove generazioni sulla città. Il suo scopo è quello di valorizzare luoghi di Siena attraverso la fotografia e il racconto.

Le due linee di palazzi, sfalsate in un crescendo, mi si rivolgono imponenti e minacciose, ai piedi di Via del Comune. Vedo solo la loro altezza, da quaggiù, il loro essere tanto più grandi di me e fuori dalla mia portata. Le pareti di intonaco e mattoni, da sempre immobili, sembrano buttarmisi addosso.

Via del Comune è salire senza poter vedere il punto in cui la salita finisce. E’ quei periodi in cui davanti a noi si apre l’orizzonte di una pettata impossibile e i muscoli bruciano nelle gambe inesperte. E’ deserta, la via: persiane chiuse, nessuna parola di conforto. Solo il duro della pietra sotto le suole, e la certezza che l’inclinazione del pavimento non farà che aumentare a ogni passo.

La salita è il senso di estraneità prima di tornare a esistere di nuovo. La fatica nelle vene prima che uno sguardo di riconoscimento si posi su di noi. Quando sintonizzarsi con il discorso dell’altro ci appare impossibile, e tutto ciò che percepiamo è lo scarto che ci distanzia dal mondo. In quei momenti sali, senza sapere dove stai andando. Banchi di nebbia ti ostacolano la visione. Le persiane verdi ai lati della strada sono chiuse: senti il brulicare di quotidianità condivisa dietro le pareti, senza che nessuno si affacci a chiederti d’entrare a scaldarti o prendere un the. Dietro i muri davanti cui passi c’è della vita a cui non puoi accedere.

La salita è solitudine. Prima di udire una parola autentica che squarci la nebbia e ti inviti di nuovo a far parte dei giochi umani. Allora sei in cima. Ogni espressione si fa partecipe del tuo agire, i lineamenti stagni si rianimano di desiderio e le pupille prima fissate su un dove ignorato sanno cosa guardare.

Due bambini, le schiene chine a raccogliere l’acqua dalla fontanina del Bruco, si schizzano ridendo. Li osservo un po’, prima di mettermi a giocare con loro. La salita è un’esperienza ormai lontana. Mi volto: dietro i muri delle case prima minacciose vi sono vite che attendono di essere conosciute. La nebbia, mi dico, non è altro che attesa di tornare a vedere.

Nascosta dalle tende di marmo della sua finestra, incrocio lo sguardo immobile di una giovane che si affaccia sulla strada. Sembra una madre che ti guarda faticare senza poter prendere sulle spalle il tuo peso, ma la cui espressione matura ti rassicura che è umano che tu lo porti.

Duccio

Testo di Giada Finucci

Foto di Nicolò Ricci

 

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