Nicoló, Duccio e il senso delle cose: Via di Beccheria, fare la spesa ieri e oggi

Nicolò, Duccio e il senso delle cose è la rubrica settimanale di giornalismo narrativo su Siena proposta da SienaNews. Gestita da due giovani, Nicolò Ricci per la fotografia e Giada Finucci per la scrittura, vuole portare lo sguardo delle nuove generazioni sulla città. Il suo scopo è quello di valorizzare luoghi di Siena attraverso la fotografia e il racconto.

Il peso dei sacchetti mi spinge a barcollare da una parte all’altra. Guardo quello di destra, poi quello di sinistra, temendo da un momento all’altro che uno dei due possa all’improvviso disfarsi. Il supermercato li dispensa sempre più fragili lasciandoci col dubbio che il percorso, se lungo, ci impedisca di portare la spesa in salvo.

Proseguo a passo spedito, nel rito magico di non occuparmi più delle borse – se non ci penso, reggeranno. Gli occhi chiusi all’evidenza, le orecchie non possono però impedirsi di udire il primo colpo del vetro sulla pietra serena, a cui segue la naturale rottura dell’intero barattolo e il conseguente spargimento di prodotti ortofrutticoli e pacchi di biscotti e pasta sulla strada. Chino a imprecare e raccogliere i prodotti per riporli nello zaino – che, per fortuna, ho con me – noto un’insegna particolare, in Via Beccheria: sul fianco del Palazzo dei Rozzi una lastra raffigura la testa di un bue, cui segue una scritta latina sottostante. Mi ricordo allora di alcuni racconti, uditi per sbaglio la sera in contrada: Via di Beccheria era la via dei Macelli.

Nel Medioevo, i macellai uccidevano e lavoravano le carni nella loro stessa bottega. Le lamentele di chi vedeva scorrere ogni giorno fiumi di sangue maleodorante sotto casa portarono il comune a dedicare una via apposita a quest’Arte. Incuriosito dall’argomento lessi poi a casa, la sera stessa, che le botteghe di carne erano divise in due: quelle che offrivano carne buona e quelle che vendevano a basso prezzo la carne di animali trovati già morti.

La salsa di pomodoro cosparsa a terra – la macchia si è intanto allargata e ha formato un rivolo che scende e si insinua fra una pietra e l’altra del lastricato – sembra far tornare la via ai vecchi tempi: quando in questa strada il rosso del sangue non destava scalpore e le persone si dividevano in ricche e povere a seconda della bottega in cui entravano.

Raccolgo, con fazzoletti di carta, la salsa. Provo a gettarvi sopra dell’acqua per togliere la traccia che ha lasciato, invano: il rosso rimane attaccato alle pietre di Via Beccheria, quasi non volesse scacciare del tutto il suo passato ancestrale, quasi chiedesse di mantenere testimonianza dei tempi in cui la filiera del cibo non era la scritta minuscola che leggiamo su prodotti anonimi e plastificati ma si svolgeva all’aperto, sotto gli occhi e il naso di tutti, in questa via in cui l’evento della morte faceva consapevolmente ancora parte della vita.

Duccio

Testo di Giada Finucci

Foto di Nicolò Ricci