Nicolò, Duccio e il senso delle cose è la rubrica settimanale di giornalismo narrativo su Siena proposta da SienaNews. Gestita da due giovani, Nicolò Ricci per la fotografia e Giada Finucci per la scrittura, vuole portare lo sguardo delle nuove generazioni sulla città. Il suo scopo è quello di valorizzare luoghi di Siena attraverso la fotografia e il racconto.
Imbocco la scalinata ripida e contorta che da Piazza Matteotti scende in Vicolo della Sapienza. Come ogni volta che percorro Vicolo della Palla a Corda, il fiato è involontariamente sospeso e le mani aggrappate allo zaino. É sensazione comune che qui si nascondano intenzioni losche, diverbi risolti con le mani, volti che fuggono la luce del sole per non farsi vedere. Lo so ma è ora di sfatare questi stereotipi. É ora, alla mia età. Sono cresciuto, devo avere il coraggio di imboccare questa scorciatoia, mi ripeto nella mente. Di andare oltre ciò a cui non credo.
Infrangere i divieti a cui per anni mi sono attenuto sancisce il confine fra il giusto e lo sbagliato imposto e quello che inizia ad essere scelto, oltre a rilasciare nel mio corpo un’inebriante scarica di adrenalina, per cui proseguo a testa alta.
Appoggio comunque piano le scarpe sui gradini, non voglio fare troppo rumore. Al lato della scalinata c’è una coppia di adolescenti abbracciati, li oltrepasso. I piercing e i tatuaggi sulle braccia di lui mi iniettano come un’equazione non voluta un senso inconscio di sfiducia. La parte razionale del cervello comanda all’occhio sotto il proprio controllo di guardare avanti, l’altro invece si gira furtivo e automatico di lato. Sia mai, che qualcuno mi abbia visto scendere e mi abbia seguito. Che il ragazzetto si alzi e spegna la sigaretta accesa sulla mia pelle. Va bene il coraggio ma meglio stare cauti. La porta del supermercato sulla destra è aperta su scatoloni usati e carrelli di ferro. Proseguo a passo svelto, provando a spegnere l’interruttore rotto che mi dice che quello è un nascondiglio perfetto, per chi voglia fare un agguato. Inizio a sentire una certa oppressione localizzata nel petto, mi ripeto a voce bassa di respirare. Sono a metà del vicolo, l’entrata del cinema è vuota e socchiusa. Dietro, le due sale custodi di storie in pellicola e la certezza che siano un rifugio perfetto, per chi ha visto i sogni di una vita infrangersi e nulla avrebbe da perdere a scaricare la rabbia sul primo che passa.
Il respiro si fa affannato, corto e veloce sotto la galleria in cui rimbombano i miei passi che adesso a perdifiato si susseguono. Sono perduto. Volevo rimanere calmo, passare inosservato, essere coraggioso. Non ci sono riuscito. Mi hanno sentito, stanno per venirmi a prendere. Un ragazzino fifone che scappa, la loro preda preferita. Non riesco più a guardare indietro, il collo bloccato dalla paura corro sotto gli archi sfalsati nella parte finale del Vicolo. Mi hanno quasi raggiunto, un attimo e sentirò toccarmi la spalla e d’un colpo cadere giù.
Me la sono cercata, in fondo sono io che ho intrapreso questa strada, che ho scelto di andare nel cuore del pericolo di Siena. Nel vicolo in cui tutte le madri dicono “non vi andare, piuttosto fai il giro lungo!”. Una porta si apre all’improvviso sulla strada. Urlo, credo. I piccioni si alzano e l’aria del vicolo si riempie di battiti d’ali grigie e del loro tubare allarmato.
Il sorriso della signora elegante, sui quarant’anni, mi chiede se va tutto bene. É casa sua, quella. Stava uscendo a fare la spesa. Voglio forse un bicchier d’acqua? No, grazie, adesso mi alzo, perdoni la prego la scenata.
Raccolgo le mie cose, asciugo il sudore stupido dalla fronte. Pur rinnegandoli, i divieti giovanili lavorano e scavano come tarme tunnel di paura dentro noi. Scuoto la testa e rido, di come le ammonizioni a scendere in Vicolo della Palla a Corda abbiano ancora la potenza di trasformare adolescenti ai primi baci in teppisti, menti estasiate uscite dalla sala cinema in sognatori frustrati muniti d’armi, signore col carrello della spesa in temibili assassine.
Duccio
Testo di Giada Finucci
Foto di Nicolò Ricci
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