Nicolò, Duccio e il senso delle cose è la rubrica settimanale di giornalismo narrativo su Siena proposta da SienaNews. Gestita da due giovani, Nicolò Ricci per la fotografia e Giada Finucci per la scrittura, vuole portare lo sguardo delle nuove generazioni sulla città. Il suo scopo è quello di valorizzare luoghi di Siena attraverso la fotografia e il racconto.
Potrei passare la vita a imparare a dire come mi senta nel momento esatto in cui i suoi occhi iniziano a guardare a destra e a sinistra, in cerca di una via d’uscita.
E’ chiaro che di trovare un accordo, in giorni così, non ce n’è occasione e allora al suo posto troviamo una scusa qualunque per andarsene: da “è tardi” a “devo fare delle compere per i miei”. L’altro annuisce, sollevato che stavolta non sia toccato a lui inventarsi le parole che, senza voler terminare la storia, concludano un capitolo e avviino una nuova pagina pulita. La regola è che, dopo la frase detta a mo’ di scusa per andarsene, ognuno prenda una direzione diversa: proprio così, anche se le macchine di entrambi si trovano nello stesso parcheggio, una vicina all’altra.
Mi prendo quindi del tempo affinché la particella di non senso sfugga al raggio della traiettoria verso cui sono destinato e il ritmo dei passi abbia occasione di ordinare il solito confuso sentire. Le strade del centro di Siena sono perfette per questo: nel loro sali e scendi imprevisto e deciso, gioco a immaginarmi futuri scenari e possibili conseguenze della mia storia. Potrebbe forse continuare così, tutta in salita ma portare a una vista che vale la pena aver faticato per raggiungere; oppure incontrare uno spiazzo dove imboccare con animo e gambe leggere una discesa che conduce dritti verso il fondo.
La furia di voler trovare definizioni per inquadrare un sentire mi porta a dimenticare che una relazione non è una freccia scoccata verso una direzione lineare. Che in ogni momento l’incontro fra due particelle crea una chimica diversa e imprevedibile, come il mio vagare che pur nella medesima città si imbatte in vicoli in cui mai aveva messo piede. Alzo lo sguardo per cercare l’insegna di marmo che mi dia qualche sicurezza di dove sono: Vicolo della Tartuca o Vicolo della pioggia. Sapere i nomi delle strade, almeno.
Proseguo in linea retta. Le pareti del vicolo si stringono sempre di più, come se potessero accompagnarmi a sfrondare tutti i significati che non mi servono e condurmi per mano verso una frase finale.
Alcune gocce di pioggia trapassano la superficie dei miei ricci e mi fanno accorgere di loro. Ecco, penso, il temporale è arrivato, il mio girovagare finito e ancora non ho trovato le parole per raccontarmi cosa io senta o voglia. Alzo gli occhi al cielo per incolpare la nube che mette fine alle mie ricerche: il cielo è terso, e sopra la mia testa c’è una fila di panni colorati messi a stendere. Una signora dalla finestra sta ancora distendendone i tessuti e mi fa segno con la mano di scansarmi.
Ma no, signora non importa. Dalla sua espressione vedo che mi prende come un mascalzone, come uno che si diverte a farla sentire in colpa di bagnarmi. Ma no, signora non capisce. Mi faccia lavare un po’ da tutte le certezze che pretendo. Da questo bisogno di appendendersi a una storia liscia e scorrevole da raccontare. Che sono come un lenzuolo ingarbugliato appena tolto dalla lavatrice che cerca un filo su cui sostare e prender forma.
Duccio
Testo di Giada Finucci
Foto di Nicolò Ricci