Nicolò, Duccio e il senso delle cose è la rubrica settimanale di giornalismo narrativo su Siena proposta da SienaNews. Gestita da due giovani, Nicolò Ricci per la fotografia e Giada Finucci per la scrittura, vuole portare lo sguardo delle nuove generazioni sulla città. Il suo scopo è quello di valorizzare luoghi di Siena attraverso la fotografia e il racconto.
“Faccio una doccia ed esco”, scrivo su whatsapp. Intanto, accappatoio e ciabatte aspettano la mia uscita dal box doccia.
“Mi asciugo i capelli e arrivo”, leggo sul display il messaggio di risposta.
Oggi la cura del corpo è un affare personale, il preparativo necessario all’incontro con l’altro, che solo dopo un’accurata doccia e vestizione può accadere. Nel Medioevo, invece, l’incontro avveniva proprio per lavarsi. La cura non era allora un fatto privato, ma un momento collettivo e di condivisione. Solo i signori, probabilmente, potevano permettersi catini in cui immergersi e servi che li riempissero d’acqua pulita, il resto della popolazione si recava ai bagni pubblici.
A Siena, ne abbiamo testimonianza in Vicolo della Stufa: la strada a fondo chiuso che scende da Via Dupré su un cortile interno di case. Una volta, non era chiusa ma aperta verso quella che era la stufa, una stanza dei bagni pubblici simile alla nostra odierna sauna. Vicino ad essa supponiamo vi fosse la balnea, una vasca riempita d’acqua e riscaldata con fuoco a legna.
All’inizio, i bagni pubblici erano aperti a persone di ogni sesso ed età: vi si immergevano insieme, completamente nudi. Il rapporto di ciascuno con il proprio corpo non era nascosto dal concetto di privacy, ma condiviso attraverso questa pratica di cura e igiene. Lavarsi aveva delle analogie con il trovarsi attorno a una tavola imbandita: un bisogno fisiologico si faceva motore d’innesco per la creazione di festa e incontro. Le persone non si incontravano dopo “la doccia”, pulite e rigenerate dalla sensazione e i benefici che lo scorrere dell’acqua sul corpo crea ma prima, in quel momento di disagio e fastidio fisico in cui siamo impazienti di un bagno. Insieme, fra urla, scherzi e chiacchiere, si vedevano l’un l’altro sporchi, inermi, forse a disagio, per ritrovarsi poi di nuovo puliti e pronti a camminare a testa alta per le strade.
Incontrarsi prima del bagno presupponeva un grado di intimità per noi impensabile: significava incontrarsi imperfetti, disgustosi, spiacevoli alla vista e all’odorato. Oggi ci incontriamo solo piacevoli, puliti e perfetti: profumati da capo a piedi, vestiti dei nostri abiti migliori. I senesi che si trovavano in Vicolo della Stufa erano invece puzzolenti, sudati, coperti di stracci: il loro aspetto non nascondeva la povertà, le imperfezioni del corpo, il bisogno ciclico umano di raggiungere un culmine spiacevole per poi accedere alla rigenerazione. Immergersi in quella vasca insieme agli altri era abbandonare ogni pudore e l’idea che il corpo contenesse nuclei intimi e privati da nascondere alla vista.
Tra la fine del 1400 e l’inizio del 1500 in Europa molti bagni pubblici scomparvero, causa anche delle grandi epidemie che attraverso i bagni si diffondevano. A Siena, però, rimasero più del dovuto: la presenza dei bagni è attestata sino a inizio Ottocento. Chissà se deriva anche da qui, l’origine dell’intimità che i senesi, in certi momenti dell’anno, ancora oggi condividono. Il sudore che sotto palio passa da un corpo all’altro, i contatti così ravvicinati da non capire più bene dove finisco io e inizia l’altro, le braccia che si tendono in un abbraccio improvviso e spudorato verso una persona che magari non conosciamo nemmeno bene, la riservatezza lasciata a terra per alzare le mani e l’anima verso l’inno e una gioia comune.
Testo di Giada Finucci
Foto di Nicolò Ricci
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