Viviamo in un’epoca che sembra offrire tutto, ma che in realtà spesso lascia i giovani con un vuoto difficile da colmare. Mai come oggi ci troviamo di fronte a una generazione che fatica a trovare un motivo per cui lottare, un ideale da perseguire, un sogno che valga il sacrificio.
La crisi esistenziale che molti adolescenti e giovani adulti attraversano ha radici profonde, legate a una società sempre più veloce, che richiede risultati immediati e non dà spazio alla ricerca di significato. “Chi ha un perché per vivere può sopportare quasi ogni come”, diceva Nietzsche, ricordandoci che il senso di uno scopo è fondamentale per superare le difficoltà.
Uno dei bisogni psicologici fondamentali è quello di appartenenza. Senza un gruppo a cui riferirsi, un ideale che possa dare forma all’identità, i giovani rischiano di sentirsi smarriti. Non basta identificarsi con un gruppo superficiale o con una moda passeggera: la vera appartenenza è quella che dona senso di continuità e connessione con qualcosa di più grande di noi. John Bowlby, con la sua teoria dell’attaccamento, ha descritto come l’essere umano cerchi fin dalla nascita figure di riferimento solide. Quando queste mancano, i giovani si rifugiano in comportamenti compensatori, come l’uso di sostanze, la violenza e la fuga dalla realtà.
In una società che premia l’immediato, i sogni sembrano qualcosa di lontano, quasi infantile. Eppure, è proprio la capacità di sognare che ci distingue, che ci permette di immaginare un futuro migliore e di costruirlo passo dopo passo. “Il futuro appartiene a coloro che credono nella bellezza dei propri sogni”, affermava Eleanor Roosevelt. Sognare non è solo un atto di fantasia, ma un gesto di ribellione, una forma di resistenza contro un mondo che cerca di omologarci. La psicologia umanistica, con autori come Carl Rogers e Abraham Maslow, ha sempre valorizzato l’importanza dell’autorealizzazione, della scoperta di sé attraverso la realizzazione delle proprie aspirazioni.
Spesso i giovani percepiscono il mondo come un campo di battaglia, un luogo in cui competere senza sosta. Tuttavia, non si tratta solo di trovare un nemico esterno, ma anche di imparare a riconoscere e combattere i propri limiti interni. “Il coraggio non è l’assenza di paura, ma il trionfo su di essa”, diceva Nelson Mandela. Questo ci invita a riflettere sulla differenza tra conflitto e odio. Il conflitto, se gestito in modo sano, può essere una fonte di crescita; l’odio, invece, è un’emozione distruttiva che consuma chi la prova. Il nostro tempo è segnato da un fenomeno allarmante: il dilagare di violenze tra giovani, spesso caratterizzate da una deumanizzazione dell’altro, visto non più come persona ma come bersaglio anonimo. Questo fenomeno riflette una profonda crisi di sintonizzazione emotiva e connessione con l’altro. “L’odio è un peso troppo grande da portare. Ho deciso di amare”, affermava Martin Luther King Jr., e mai come oggi queste parole risuonano con urgenza. Quando i giovani perdono la capacità di vedere l’altro come un essere umano, con i suoi sentimenti e le sue fragilità, si rompe quel legame sociale che ci rende tutti parte di un’unica comunità e tutto è possibile, comprese “trenta coltellate perché non mi voleva”. La sfida educativa è quindi quella di riscoprire l’importanza del conflitto costruttivo all’interno delle relazioni, del rispetto pur nelle diversità e dell’incontro autentico con l’altro. Nella terapia strategica, si sottolinea l’importanza di trasformare il conflitto in un’opportunità per migliorare, piuttosto che lasciare che diventi un muro invalicabile.
In un contesto di precarietà lavorativa e instabilità economica, molti giovani si sentono privati della possibilità di costruire il proprio futuro. “Non cercare di diventare un uomo di successo, ma piuttosto un uomo di valore”, suggeriva Einstein. La teoria della self-efficacy di Albert Bandura ci insegna che la fiducia nelle proprie capacità di affrontare le sfide è determinante per il successo. Tuttavia, per sviluppare questa fiducia, è fondamentale che i giovani abbiano la possibilità di sperimentare e di sbagliare, di costruire con le proprie mani senza essere paralizzati dalla paura di fallire.
Viviamo in un mondo che spesso premia chi è disposto a omologarsi alla massa anziché lottare per ciò in cui crede. “Ogni uomo ha un compito nella vita: essere se stesso”, scriveva Herman Hesse. La dissonanza cognitiva, concetto introdotto da Leon Festinger, descrive il disagio che proviamo quando agiamo in modo incoerente rispetto ai nostri valori. Al contrario, mantenere alta la propria integrità è uno degli atti più rivoluzionari e appaganti. “È meglio fallire nell’originalità che avere successo nell’imitazione”, affermava Melville, sottolineando il valore dell’autenticità.
Le parole di Marcel Proust, “Il vero viaggio di scoperta non consiste nel cercare nuove terre, ma nell’avere nuovi occhi”, ci invitano a vedere la vita con una prospettiva rinnovata. Ogni giovane ha un potenziale unico, una scintilla che merita di essere coltivata. In un contesto che tende ad uniformare e omologare le identità, a cancellare le differenze, a ridurre le persone a numeri e prestazioni, è fondamentale ricordare l’unicità di ogni individuo e la sua capacità di fare la differenza. La psicologia ha il compito di aiutare le persone a riscoprire e valorizzare il proprio potenziale. Per i giovani di oggi, il messaggio è chiaro: “La più grande gloria non è non cadere mai, ma rialzarsi ogni volta che cadiamo”, come diceva Confucio. Non abbiate paura di seguire la vostra strada e, soprattutto, non buttatevi via.
Dott. Jacopo Grisolaghi
Psicologo, Psicoterapeuta, Dottore di Ricerca in Psicologia, Sessuologo, PsicoOncologo, Ricercatore e docente del Centro di Terapia Strategica di Arezzo
Professore a contratto Università degli Studi eCampus e Università degli Studi Link di Roma
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IG @dr.jacopo.grisolaghi