Il primo processo sull’olio di oliva venduto come italiano extravergine ma che in realtà non lo era, si è concluso con la condanna per sei dei cinque imputati. L’inchiesta, prima in Italia, coordinata dal pm Aldo Natalini, aveva coinvolto la ditta che al tempo si chiamava Valpesana. A processo i vertici (e non solo) della stessa azienda. Il collegio preceduto dal dottor Costantini ha deciso nel pomeriggio e ha condiviso le accuse della procura anche se in alcuni casi ha leggermente diminuito le pene rispetto a quelle chieste dal pm Aldo Natalini.
L’inchiesta coordinata dal pm Aldo Natalini aveva preso il via da un accesso nei confronti dell’azienda olearia eseguito nel 2011 dal Nucleo di Polizia tributaria di Siena. Nel corso degli accertamenti erano stati rivenuti all’interno del laboratorio chimico dell’azienda dei manoscritti con annotazioni riguardanti tagli di oli diversi. L’esame dei documenti, unita agli esiti delle intercettazioni telefoniche e telematiche condotte successivamente dalla polizia postale aveva portato alla luce un meccanismo secondo le accuse in atto sin dal 2010 basato su una prassi fraudolenta. L’azienda indicava nel registro ufficiale del sistema informativo agricolo nazionale come olio di oliva extravergine partite di olio che invece non avevano all’origine i necessari requisiti merceologici. Sempre dai manoscritti rinvenuti nel corso delle indagini era stato riscontrato che da produttori iberici arrivavano partite di olio con valori chimici nettamente al di fuori dei parametri fissati dalle normative europee. Attraverso due diverse tipologie di miscelazione, l’azienda rivendeva poi l’olio ‘tagliato’ allo stato sfuso ad una serie di importanti aziende imbottigliatrici su tutto il territorio nazionale che poi provvedevano a commercializzarlo anche all’estero. Nei confronti di quattro società del settore clienti dell’azienda Valpesana erano state fatte delle perquisizioni che avevano portato a sequestrare tonnellate di olio non conforme.
Cecilia Marzotti