Oltre il covid c’è un “noi”: in un libro il racconto forte e toccante dei pazienti senesi che ce l’hanno fatta

Il silenzio ovattato della terapia intensiva, rotto solo dal ritmo costante dei monitor e dal respiro affannoso delle macchine, battaglia.  I medici che diventano ancore di umanità in un mare di paura. È da queste stanze, dove il tempo sembra sospeso tra la vita e l’incertezza, che nasce “Una marcia in più. Noi oltre il covid”, un libro che raccoglie le voci di chi ha vissuto la pandemia sulla propria pelle, tra la fragilità e la forza, il dolore e la rinascita.

Un racconto corale, ora su carta e in ebook, che custodisce la memoria di chi ha vissuto la malattia. Il libro è stato presentato poco fa alle Scotte. Oltre dieci i testimoni che hanno lasciato le loro impressioni nel volume pubblicato dall’ospedale e che hanno portato poco fa al policlinico la loro testimonianza.

“Mi sono trovato in casa per una settimana con il coronavirus – è l’incipit dell’intervento di Marco Tozzi, che è stato paziente all’ospedale – . Avevo la febbre e non camminavo più. Non riuscivo a stare più in piedi. Sono stati sette giorni dove mi è balenato il pensiero di non farcela più. Poi grazie alla mia moglie e alla mia bambina, e alla loro determinazione, sono andato al pronto soccorso. Sono passato dalla bassa alla media frequenza e poi all’alta intensità. Le notti con il cpap( la maschera per respirare, ndr.) erano interminabili. Era un oblio che non finiva”.

“La mia è stata fortuna – dice invece Luca Guideri, anche lui paziente alle Scotte – . Fortuna di venire all’ospedale. Sono stato ventotto giorni intubato. E di quel periodo non ricordo nulla. Solo i sogni terribili, che ho voluto rimuovere. La cosa più brutta è aver dovuto dire a mia moglie, ai miei figli e alle loro mogli e mariti che sarei stato intubato. Avevo parlato anche al mio amico capitano, sono contradaiolo della Tartuca, e gli ho detto: ‘Se mi succede qualcosa pensaci te'”.

“Mi sento fortunato. Il mio tredici l’ho fatto quando ho superato la malattia – afferma Michele Bernardoni – . Il virus è stato duro ma il ricordo di quei momenti è stato bello. Uno non pensa mai ai sacrifici che fanno medici, infermieri e oss verso di noi anche se non ci conoscono”.