Opere di Mario Ghezzi in asta ad Arezzo, la Casa d’Aste Guidoriccio propone lotti di pittori del Novecento

Mario Ghezzi (Siena 1919-2007), il pittore del Palio del 2 luglio 1981 del rosone della Basilica di San Domenico del 1997, è al centro di un nuovo interesse da parte del mercato dell’arte.

A seguito del recente catalogo “MARIO GHEZZI 1919-2007. NOTE CRITICHE, OPERE, TESTIMONIANZE”, curato da Luca Mansueto e da Andrea Friscelli, pubblicato dalla Nuova Immagine Editrice, la Casa d’Aste Guidoriccio di Arezzo ha voluto inserire nella prossima asta del  24 SettembreARTE CONTEMPORANEA-DIPINTI E STAMPE DEL XX SECOLOhttps://www.asteguidoriccio.it/  sei opere di Mario Ghezzi tra i lotti che andranno all’incanto insieme ad una raccolta di disegni di Emilio Montagnani (Vico d’Elsa 1915-Siena 1974), dipinti di Remo Gardeschi (Moncioni 1920-1994), Rossano Naldi (Subbiano 1913-Arezzo 1994), Duilio Cambellotti (Roma 1876-1960), Enzo Pregno (Il Cairo 1898-Firenze 1972), solo per citarne alcuni, e stampe litografiche e multipli BolaffiArte firmati da Emilio Greco (Catania 1913-Roma 1995), Pietro Annigoni (Milano 1910-Firenze 1988), Renato Guttuso (Bagheria 1911-Roma 1987), Mario Carotenuto (Tramonti 1922-Salerno 2017), Gio’ Pomodoro (Orciano di Pesaro 1930-Milano 2002), Renzo Vespignani (Roma 1924-Roma 2001), Alexander Calder (Lawnton 1898-New York 1976), Giorgio De Chirico (Volo 1888-Roma 1978), Emilio Scanavino (Genova 1922-Milano 1986).

Una delle opere di Ghezzi in Asta Guidoriccio è la Natura morta con bottiglie del 1958 (lotto 64 in asta). In essa gli oggetti sono restituiti in pittura attraverso pennellate veloci in cui il colore definisce i volumi, un colore che si disgrega e si mescola, si accosta e si contorce nella definizione di poliedri scomposti di pura materia pittorica, materializzati attraverso la vibrazione della luce. La dominante di Ghezzi del periodo “materico” (1958-1962) è il colore e la sua sperimentazione, una conduzione e una esasperazione al massimo del medium pittorico sondando il volume. 

I paesaggi e le nature morte sono tagli di realtà spogliata da ogni connotazione naturalistica, nel colore e nella luce, frutto di una sua elaborazione mentale e non della presa diretta della realtà. Ghezzi, tra fissità enigmatica e trapasso da un prima e un dopo, come nella Natura morta del 1953 (lotto 69 in asta), propone astrazioni del reale, nature morte e paesaggi evocati e non rappresentati, privi della presenza umana, luoghi inameni nei quali – come afferma Roberto Longhi su Morandi – «scavando dentro e attraverso la forma, e stratificando le “ricordanze” tonali, si possa riescire alla luce del sentimento più integro e puro, ecco infatti la lezione intima di Morandi e il chiarimento immediato della sua riduzione del soggetto che gira al minimo».

Seguendo la metodologia morandiana di appercezione della pittura, Ghezzi nel 1953 dipinge l’olio su cartone Paesaggio con pagliai (1953; lotto 65 in asta), uno dei paesaggi più rappresentativi di questo primo periodo, mutuando i modelli dal celebre Paesaggio da Grizzana del 1927 di Morandi e da Cézanne La maison lézardée del 1892-94. I volumi e i colori convivono nell’assoluta alienazione del tempo, un luogo indistinto che vive nella sua atemporalità. Non vi è una scansione spaziale di profondità e di piani diversificati, ma c’è una dimensione piatta che ha la sua genesi nel montaggio di macchie di colori presi in prestito dalla tavolozza morandiana e che Ghezzi riscontra «così povero di colore nella sua appariscenza – scrive Mario Ghezzi in un suo manoscritto inedito – come mezzo diretto per risolvere la sua opera utilizzando questa povertà cromatica in maniera così meravigliosa da dare a quei colori valori espressi di costruzione».

La pittura di Ghezzi negli anni Settanta si evolve da istinto a intelletto, da materia a segni in «lunghe notti sottratte al riposo – scrive Ghezzi – davanti al cavalletto» in un colloquio tra sé, la tela e la Natura ovvero colei che «mi aveva dato, come fa sempre a tutti, la possibilità di realizzarmi – continua Ghezzi – regalandomi, in un punto qualsiasi del mondo, in un momento qualsiasi di una giornata, in un bagliore di lucidità, la licenza per costruire qualcosa di diverso da lei».

È nel solco degli anni Settanta che si assiste ad un graduale passaggio dei due momenti da lui periodizzati tra “spaziale” (1962-1971) e “neofigurativo spaziale e semantico” (1971-1981), una transizione che non è repentina ma assolutamente meditata e travagliata nella quale è sempre presente “l’entità spazio” rivista in una nuova chiave di lettura. Come nell’Isola dei Pescatori (1974; lotto 67 in asta), Ghezzi si appropria di un processo astrattivo che parte dalla realtà, dalla Natura come “primus movens”, ma la sua rappresentazione si trasforma in armonico rapporto di linee nella progressiva semplificazione degli spazi. È una pittura che prevede l’utilizzo di semplici e pochi elementi del vocabolario visivo, una bidimensionalità pittorica rigorosa costituita da linee che occupano l’intera superficie e che vanno a tracciare una griglia sempre più rigorosa le cui campiture cromatiche si impossessano di valori e di rapporti armonici. Si arriva, difatti, ad una razionalizzazione della realtà che perde ogni suo valore residuale, la tela da spazio e da campo d’azione diventa un reticolato in cui la sintassi è chiara e rigorosa: linee sono tracciate in modo ortogonale in un rapporto compositivo simmetrico tra le campiture createsi e i valori cromatici.

Se negli anni Settanta il “segno” di Ghezzi assume il valore di custode di trame e di reticolati, piccole porzioni di entità e substrati reggenti dell’opera, come nel Palio del 1981, le cui aree spaziali assumono il valore attributivo di vetrata, una scelta oggettiva nel formato che diviene espressione soggettiva, in particolare, per il lavoro del rosone di San Domenico. L’“incasellatura” pittorica corrisponde a quella scomposizione figurativa, certamente vincolata dalle figure imprescindibili per la committenza del Palio, che si fa personale nel correre del segno verso camminamenti voluti e guidati nella definizione spaziale delle aree concesse alla sua mano e che echeggiano, appunto, quella “cromatica” di una vetrata. Nel drappellone Ghezzi dirada il valore della materia-colore, che ha costruito lo spazio nei decenni precedenti, adesso il “segno” delimita le “aree spaziali” e diventa una necessità di sostegno per le componenti figurative.

Nell’“ultimo figurativo” (1981-1999) il “segno” non ha più frontiere e chiusure, esso si è disciolto, si apre e si fa corsivo correndo sulla superficie nella sua molteplicità. In tale congiuntura non possono non essere menzionate alcune tele aventi per soggetto Finestre e Interni come Paesaggio con finestra (1972; lotto 66 in asta) la cui cornice marca quel limen che consente di separare la realtà della visione con la nostra realtà, una sorta di diaframma che delimita la visione dell’interno o del paesaggio oltre la finestra. In questo processo dissimulatorio della giustapposizione degli spazi differenziati, gli interni si popolano di oggetti più disparati, dagli arredi alle suppellettili, riconducibili all’esperienza autobiografica dell’artista.

In quest’ultimo periodo vi è una produzione di grafica strabordante con un’esplosione gioiosa ed espressiva del puro colore. La tavolozza perde totalmente i connotati delle tinte neutre e scure, le immagini dipinte sono in realtà viaggi della memoria e della fantasia di luoghi vissuti e di esperienze e percezioni calate nella visione di cartoline e di fotografie, ovvero una trascrizione pittorica di immagini mnemoniche. Come nella Marina del 1986 (lotto 68 in asta), Ghezzi si libera totalmente da vincoli in una facondia descrittiva e narrativa di luoghi dell’anima, paesaggi vitali di una Natura che proclama la sua forza in immagini di vitalità e di libertà. Le rappresentazioni, pertanto, rinviano a un quadro interiore formato dai ricordi e dalle impressioni sensoriali nelle quali i sentimenti penetrano le rappresentazioni.

Luca Mansueto

 

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