La prima volta che, appena nata in Italia, nel 1954, le telecamere si affacciarono sul tufo di Piazza fu chiaro che il Palio non era più solo una cosa senese, ma una cosa senese che veniva offerta all’Italia tutta (e la prima volta che andò in Eurovisione, anche a chi lo voleva vedere fuori dall’Italia). Il linguaggio era sostanzialmente quello della radio+immagine, comune a tutta la televisione degli esordi.
Poi cambiò tutto.
Poi arrivarono le televisioni private e la narrazione si fece più completa, più dettagliata, preceduta e seguita da servizi e dibattiti in studio e da interviste. A volte anche troppe. E, in RAI, arrivò a fare la telecronaca del Palio Emilio Frajese, senesizzato e chiocciolinizzato, con una cifra che, per quanto non esente da alcune critiche, costruì una narrazione del Palio di altissimo livello, diretta sia ai senesi e ai contradaioli, sia, con identica forza comunicativa ai non senesi. La cronaca diventò spettacolo. E come tutto ciò che diventa spettacolo, qualcosa piacque, qualcosa meno. Ma resta il fatto che Frajese fece scuola.
Poi arrivò Canale Civico Siena (il CCS) è quella fu la rivoluzione della narrazione del Palio.
Durò come un gatto in autostrada.
Duccio Balestracci
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