In preda al panico, gli abitanti italiani di Kaffa – soprattutto genovesi e veneziani – salirono a bordo delle grosse galee mercantili e fecero vela verso il Mediterraneo. Nel Trecento la navigazione si svolgeva ancora principalmente sotto costa, con frequenti approdi nei porti lungo il tragitto. E così la peste entrò nel Mediterraneo a Costantinopoli, nella primavera del 1347. Da lì si sparse nel sud della penisola greca e in tutto l’Egeo. Risalendo verso l’Italia, le galee genovesi e veneziane si separarono di fronte all’odierna Albania.
I genovesi dovevano attraversare lo stretto di Messina, e proprio a Messina fecero sosta nell’ottobre 1347, appestando la città. I messinesi, a loro volta, appestarono l’intera Sicilia, a partire da Catania, finché i siciliani non traversarono lo stretto portando il contagio a Reggio di Calabria. Salendo lungo il Tirreno, le galee genovesi infettarono Sardegna, Corsica ed Elba prima di raggiungere Genova. Secondo le cronache, furono tre le galee superstiti, cariche di spezie, che con le merci scaricarono l’orrendo flagello nella città della Lanterna: era il gennaio del 1348. Più o meno negli stessi giorni, la peste scoppiava anche a Venezia, raggiunta dalle altre galee della Serenissima che avevano nel frattempo contaminato anche tutta la costa croata.
In Toscana la peste entrò da Pisa, il maggior porto della regione, dove anche lì approdarono due galee genovesi. Propagandosi lungo le vie di comunicazione terrestri, in aprile giunse a Firenze, in maggio a Siena. Ormai connessa a tutte le più importanti rotte commerciali del tempo, compresa la strada Francigena, l’epidemia in capo a tre anni dilagò fino agli estremi confini del nostro continente, portandosi via circa 25 milioni di persone.
Giovanni Mazzini