In un periodo imprecisato del 1346 l’armata mongola era impegnata nell’assedio di Kaffa, una fiorente città mercantile nella penisola di Crimea, sul Mar Nero. Qualche tempo prima a Tana, un altro centro commerciale sul Mar Nero, alla foce del fiume Don, era scoppiato un incidente tra gli stessi mongoli e i mercanti genovesi, che avevano acquistato la città di Kaffa dal Gran Kahn nel 1266 per farne il centro amministrativo delle loro basi commerciali di tutta l’area.
Il Mar Nero infatti costituiva, all’epoca, uno dei più importanti mercati di schiavi per l’Europa. Tuttavia, le relazioni tra i genovesi e i mongoli – o tartari che dir si voglia – non erano mai state cordiali, e il non chiaro incidente di Tana fu il definitivo casus belli, portando appunto orde di guerrieri mongoli sotto le mura di Kaffa (oggi Feodosiya in Ucraina).
Durante l’assedio i tartari cominciarono però a morire a centinaia, ma non per la strenua difesa degli assediati. Morivano a causa di un terribile morbo sconosciuto, del quale si diceva che fosse originato nella lontana Cina e che, percorrendo le piste carovaniere che solcavano il cuore dell’Asia – come la Via della seta – avesse sparso morte e desolazione nelle immense steppe
orientali. La malattia misteriosa era dunque giunta fino alle sponde del Mar Nero. I mongoli, devastati dall’epidemia e ormai incapaci di protrarre l’assedio, si decisero a levare le tende. Non prima però di un’ultima offesa: caricarono i cadaveri dei propri compagni sulle catapulte e li lanciarono dentro alla mura di Kaffa, in quello che oggi è considerato il primo atto di guerra batteriologica della storia umana. Che fossero consapevoli o meno di trasmettere il contagio dentro Kaffa, così accadde.
Giovanni Mazzini