È di Dante Mortet, il Masgalano che andrà in premio alla migliore comparsa, che si distinguerà per eleganza e dignità di portamento e coordinazione, durante la sfilata nel Corteo Storico in occasione dei Palii del 2022.
Mortet, scultore e cesellatore, ha interpretato, con grande ironia, l’anima goliardica che, quest’anno, veste il premio offerto dall’Associazione Culturale Feriae Matricularum Senensium. Quel tradizionale spirito tipico del mondo universitario, in cui alla necessità dello studio si accompagnano il piacere della compagnia e del divertimento tra studenti, si materializza così in questo ambito riconoscimento paliesco.
Ed è proprio la mano, l’elemento scultoreo più amato da Mortet, ecco quindi che la sua firma stilistica si ritrova appieno in questo Masgalano. In quella bellissima mano in bronzo, placcata in argento, tesa verso l’alto e carica di simbologia con una duplice interpretazione. Ed è proprio in questo doppio significato gestuale: la mano dello studente alzata al cielo che stringe il goliardo nell’intonare l’inno del Gaudeamus, e quella dalla “lettura” più ribelle e irriverente dal comune significato che si racchiude quell’ideale romantico proprio della Goliardia. La volontà di essere liberi. Dal cappello, placcato in oro, pendono 7 ciondoli. Rappresentano i valori della goliardia senese: bacco, tabacco, venere, il teatro, la battaglia di Curtatone e Montanara del 1848 durante la prima guerra d’indipendenza italiana e alla quale prese parte un battaglione di studenti e docenti universitari, lo stemma dell’Ateneo senese e, infine, un barbero che sarà dipinto, dopo i due Palii con i colori della Contrada che vincerà il Masgalano. La scultura è retta da un piedistallo in marmo nero e bianco, simboleggia la Balzana, lo stemma di Siena, appoggiato, a sua volta, su una base che raffigura Piazza del Campo anch’essa bagnata nell’argento.
“È con grande orgoglio che mi alzo per presentare il Masgalano offerto dai Goliardi di Siena”. Il ricordo di Giampiero Cito nel presentare l’opera inizia con un pensiero a Roberto Ricci, contradaiolo dell’Aquila come lui. “Deridere con irriverenza – ha spiegato ancora-. Se andiamo a scavare sotto la patina della superficialità e indaghiamo sul loro significato, queste due parole assumono tutto un altro, alto valore. “De-ridere” significa “ridere per mezzo di un’azione”, l’azione è stata quella di chiedere al Primo Cittadino di prestare la sua mano, dalla quale è stato fatto il calco. I Goliardi hanno chiesto, per burla, una mano al Sindaco perché il significato della parola irriverenza è proprio “non fare le riverenze”, non inchinarsi di fronte a nessuno. Il motto del Principe Michele Rubini è infatti: “Frangar, non flectar””.
“Ecco, i Goliardi sono il Giullare di questa nostra Città, – dice ancora – che amano come si ama una Mamma, capaci di dire da sempre con coraggio che il Re è nudo, chiunque sia il Re. Perché la Goliardia è coerentemente trasversale: esistono Goliardi di destra, di sinistra e di centro. E mescolandosi, abbracciandosi, attraverso l’amicizia vera che si crea in quegli anni beati, può venire fuori che i goliardi di destra abbiano idee di sinistra, che i goliardi di sinistra abbiano elucubrazioni di destra e che i goliardi di centro diventino dei grandi bestemmiatori. Il Goliardo è un giullare, il Goliardo è un satiro, metà uomo e metà bestia, devoto al Dio Bacco e difensore del superfluo. Sia benedetto chi difende il superfluo, perché se dovessimo imporci di lasciare in vita soltanto ciò che quelli bravi definiscono “essenziale” non ci sarebbe la Musica, non ci sarebbe la Poesia, non ci sarebbe il Vino, non ci sarebbe la trippa la mattina della tratta o i bomboloni per le Prove di Notte, non ci sarebbero neanche la Prove di Notte, non ci sarebbe la Passeggiata Storica e quindi neanche il Masgalano. Forse non ci sarebbe neanche il Palio, che per tutti noi è la più irrinunciabile ed essenziale tra le cose superflue. Quindi, siccome per noi Goliardi non c’è niente di più serio di uno scherzo, accettate questo premio come il messaggio degli studenti che, proprio come Arlecchino, si confessano burlando”.
“Con questa opera di Mortet dunque abbiamo voluto celebrare questo senso di Libertà, dando il messaggio più goliardico che potevamo mandare dopo una pandemia: mettiamoci alle spalle quello che è successo in questi anni così difficili per tutti, mandiamo a quel paese tutto il resto e riprendiamoci le emozioni della nostra Festa”, inizia così il principe delle Feriae Michele Rubini.
Il Palio “è il nostro modo di mandare a quel paese tutte le difficoltà e i giorni tristi, i dissapori e le paure. Il Palio ci fa dormire poco e sconvolge i nostri piani, ci fa sentire vivi e ci emoziona, regalandoci momenti indelebili da custodire gelosamente dentro di noi -aggiunge-. Viviamolo dunque come deve essere vissuto; godendoci il momento, consapevoli che camminiamo sulle spalle dei giganti del passato e abbiamo lo sguardo proiettato sul futuro. Ma che, come ci ha insegnato tutta questa storia, abbiamo la fortuna di poter vivere solo il presente: dunque godiamocelo e cogliamone ogni attimo”.
La chiosa:”Gaudeaume igitur, perché sono tornati i brividi e i canti di gioia, i rintocchi e gli attimi infiniti. Sono tornati tutti i nostri colori. È tornata la nostra Festa!”
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